Va però anche precisato che il ricorso ai rilievi anemometrici manuali è piuttosto complesso per le seguenti ragioni:
- i rilievi istantanei descrivono soltanto la situazione di un preciso momento, mentre il trasporto della neve ad opera del vento è un fenomeno che si prolunga nel tempo. Ora il vento registra talvolta variazioni di direzione o di velocità relativamente forti ed improvvise, che possono facilmente alimentare errori di previsione . Il problema può essere ovviamente risolto ricorrendo ad una strumentazione automatica (rilievo semi-continuo), ma ciò comporta gravosi investimenti finanziari.
- ad un vento forte non corrisponde necessariamente un elevato trasporto di neve, perché se non c'è neve trasportabile, il fenomeno non si produce. Ma è difficile dire quando la neve è appunto trasportabile, e soprattutto se i bacini di raccolta sono carichi.
Si constata così che i dati relativi all'intensità e alla direzione del vento non sempre sono indicativi del trasporto di neve nonché dei rischi valanghivi che possono derivarne. Una descrizione diretta del trasporto di neve ad opera del vento (o "snowdrift") è in realtà preferibile ad una valutazione incerta basata sul vento (che rimane peraltro un dato di primaria importanza per meglio calcolare il bilancio energetico del manto nevoso e quindi per modellizzarne l'evoluzione).
Dal 1990 si è dunque deciso di introdurre nel sistema esperto di previsione locale delle valanghe AVALOG una descrizione dello snowdrift. La descrizione era inizialmente di tipo qualitativo: I'osservatore doveva valutare se il trasporto era stato nullo, scarso, moderato, abbondante o molto abbondante. Ma poiché tale sommaria descrizione, pur fornendo dati interessanti, presentava lo svantaggio di essere troppo soggettiva, era necessario ricorrere ad una descrizione quantitativa. E' sulla base di tale convinzione che è stato quindi ideato un rilevatore multidirezionale di neve trasportata dal vento.
ANALISI RETROSPETTIVA
Lo studio del trasporto della neve da parte del vento non é una cosa nuova e i numerosi approcci sperimentali tentati in passato hanno naturalmente favorito lo sviluppo dei più svariati strumenti di misurazione. Una delle prime preoccupazioni dei ricercatori era la determinazione dei flussi di neve trasportata. Gli apparecchi di misurazione della prima generazione erano quindi delle "trappole da neve", basate sul seguente principio: la miscela aria di neve penetra attraverso un foro di ingresso e l'aria liberata dalle particelle esce poi da un foro di uscita. La separazione delle particelle può avvenire grazie ad uno o più procedimenti associati: l'allargamento della sezione, filtri, percorsi a labirinto o decatanzione. La valutazione del peso della neve e la conoscenza della durata della sperimentazione consentono di valutare il flusso massico a livello del foro di ingresso. I primi strumenti di misurazione così ideati non erano quindi altro che ... semplici barattoli fissati su di un palo e aperti in direzione del vento! Ma un rilevatore tanto primitivo meritava ovviamente qualche perfezionamento, ed è così che, nel corso degli anni, venivano via via apportate diverse migliorie aumentando, ad esempio, contemporaneamente l'efficacia aerodinamica e quella di separazione, oppure adattandolo ai vari tipi di utilizzo (dispositivi auto orientabili di Mellor, pesata automatica di Jairell, ecc).
Simili apparecchi, per quanto rudimentali possano sembrare, hanno fornito preziose indicazioni sulle modalità di trasporto dello neve da parte del vento. In quel periodo, tra l'altro, la maggior parte delle indagini era motivata da problemi di percorriblità invernale delle varie arterie di comunicazione. Ma verso gli anni 70 P.Fohn, P. Haechlker e R. Meister cominciavano ad interessarsi dello snowdrift in i montagna in quanto fattore di determinazione di fenomeni valanghivi. Essi decidevano di utilizzare a tale scopo il rilevatore illustrato nella figura , che consentiva loro di descrivere lo snowdrift su di una cresta montagnosa, e di integrare le conoscenze così ottenute in un modello"deterministicostatistico" destinato alla previsione delle grandi valanghe (Fohn e coll.1978).
REALIZZAZIONE DEL "DRIFTOMETRO"
Malgrado i numerosi sensori fin lì realizzati, non esisteva in fin dei conti ancora nessun apparecchio di misurazione semplice che consentisse di conoscere, per la durata di circa 24 ore, sia la direzione dello snowdrift che la quantità di neve trasportata. Dal 1990 in poi la divisione Nivologica del CEMAGREF (F.Naaim, poi R.Bolognesi) decideva di sviluppare due prototipi di sensori multidirezionali, di cui uno veniva testato direttamente sul campo per un'intera stagione, nel comprensorio dell'Alpe di Huez. Si trattava semplicemente dell'asemblaggio di 8 sensori mondirezionali, disposti nelle varie direzioni cardinali. Ma i veri test dimostravano che ,per essere utilizzabile, il sistema andava perfezionato. La sua efficacia aerodinamica (rapporto tra il flusso massico captato e il flusso massico effettivo) sembrava infatti piuttosto ridotta e, in particolare, non consentiva di determinare con precisione la direzione dello snowdrift.
Dopo questa prima serie di tentativi piuttosto inconcludenti, R.Bolognesi e O.Buser dell'IFENA, sempre in collaborazione con la divisione Nvologica del CEMAGREF, hanno infine ideato il rilevatore multidirezionale.
(2700 m di altitudine) al fine di determinare la sezione ideale del foro di ingresso e il volume, e del collettore del futuro rilevatore, in funzione dell'autonomia desiderata.
Grazie alla stazione di misurazione automatica ivi installata, essi disponevano della registrazione continua del vento, e potevano così calcolare le concentrazioni partendo dai flussi massici e altresì controllare la validità delle condizioni di sperimentazione sulla base dei lavori della letteratura (G.Fellers,M.Mellor, P.Fohn). Essi hanno in tal modo potuto definire i principali parametri dimensionali del rilevatore. La terza tappa ha consistito nel realizzare un prototipo di "preproduzione" (F.Ousset, R.Bolognesi), utilizzando a tal fine la galleria del vento bifasica del CEMAGREF, particolarmente ben attrezzata per questo tipo di lavoro (micromulinello, tubo di Pitot, laser 4W, sistema di analisi di immagine per lo studio delle traiettorie delle particelle, ecc..) Una volta elaborato tale prototipo, sono stati definiti i piani esecutivi e, previa consultazione di vari industriali che avrebbero potuto costruire l'apparecchio in serie, è stata affidata all'azienda di Grenoble ISER'OUTIL (Y. Gaillard) la produzione dell'apparecchio battezzato "driftometro", mentre quella dei collettori è stata subappaltata all'impresa SNC.. Va sottolineato che queste due aziende hanno prontamente aderito e contribuito alla messa a punto del rilevatore, fornendo gratuitamente dei campioni di prova e suggerendo gli adattamenti tecnici imposti dai vincoli di produzione (I'azienda SNC ha fornito, ad esempio, diversi tipi di collettori, confezionati in tessuti di diversa permeabilità, al fine di testare la loro efficacia in situazioni reali, mentre la ISER'OUTIL offre un servizio di "sviluppo tecnico" permanente).
E così che, all'inizio del 1993, si sono visti comparire sui siti di rilevamento i primi driftometri (sotto qualche sguardo curioso o divertito). Dopo un intero inverno di funzionamento su di una ventina di siti diversi di tutt'Europa, sono stati apportati gli ultimi ritocchi sulla base dei suggerimenti e delle osservazioni espresse dagli utenti. Dopo 4 anni di sviluppo, il driftometro si compone oggi di un supporto regolabile in altezza lungo un palo, che sostiene 8 rilevatori a tubo disposti nelle varie direzioni cardinali (Nord, Nord-Est, Est, ecc) La loro estremità di "ingresso" è dotata di un deflettore affinché soltanto il tubo il cui asse coincide con la direzione del vento capti una massa significativa di particelle (funzione assicurata anche dal collettore che funge da filtro), ma anche da facilitare la fissazione del collettore stesso. Questo è fissato con un semplice cordone di chiusura e può essere facilmente ritirato per la pesatura, realizzata tramite un dinamometro tascabile .La maggioranza delle componenti utilizzate sono già in commercio (riduzione dei costi di produzione per le piccole serie); soltanto il supporto e l'anello centrale di regolazione vengono costruiti su misura. Il materiale impiegato è il PVC, e quasi tutti i pezzi sono assemblati per incollaggio. L'apparecchio consente quindi di conoscere la direzione prevalente e intensità dello snowdrift (a 50 cm dal suolo) durante quelle ore che precedono la misurazione (al massimo 24 ore).
Basterà allora registrare simultaneamente snowdrift e accumuli per poter localizzare, dopo un certo tempo di osservazione, i depositi di neve su di un settore montagnoso soltanto grazie alla misurazione dello snowdrift. Ma esiste un legame così diretto fra snowdrift e attività valanghiva? Stando alla campagna di osservazioni sistematiche condotta all'Alpe d'Huez (JM Daultier), sembra che si possa rispondere affermativamente, nel caso delle valanghe distaccate artificialmente con esplosivo subito dopo un episodio di snowdrift. . Nell'area di Macle, ad esempio, nella stagione 1993?94 sono stati individuati 13 episodi di snowdrift da nord con precipitazioni molto scarse o addirittura nulle. Definendo l'attività valanghiva come "il rapporto fra il numero di valanghe registrate e la sommatoria del numero di prove di distacco di valanghe naturali", si è potuta osservare, su di un totale di 151 prove di distacco eseguite su una quindicina di canaloni, un'attività valanghiva media di 0,85 ed una minima di 0,69. Risulta evidente che l'informazione direzione dello snowdrift ha un valore predittivo elevato per i distacchi artificiali di quest'area. Facciamo notare che il vento osservato (rilievi istantanei) era debole o inesistente durante 5 di queste giornate a forte attività valanghiva (superiore a 0,71...
Queste prime constatazioni non ci consentono ancora di quantificare la "predittività" dell'informazione snowdrift, e la relazione fra l'intensità del trasporto e l'attività valanghiva deve ancora essere chiarita. A questo scopo sarà necessario procedere all'analisi statistica di lunghe serie di cui, però, disporremo soltanto fra qualche anno. Questi primi risultati confermano comunque la necessità di una descrizione quantitativa dello snowdrift per la previsione locale delle valanghe. L'indice fornito dal driftometro è dunque una delle variabili di input del sistema NXLOG (R.Bolognesi, 1994), e secondo i primi test (da ripetere) l'impiego di suddetto indice dovrebbe portare ad un miglioramento abbastanza sensibile delle prestazioni del sistema.
CONCLUSIONE
Il driftometro, pur essendo un apparecchio rustico, è in grado di fornire, a costi inferiori, un dato obbiettivo molto utile per la previsione dei rischi da valanga (così come, d'altronde, per la pianificazione del territorio). Certo, sarebbe molto interessante poter automatizzare questa misurazione, specie per quegli utenti che non hanno accesso ai punti di rilevamento necessariamente localizzati in alta quota, in prossimità delle zone di distacco delle valanghe per i servizi di sicurezza stradale, ad esempio). I lavori forse più promettenti condotti in questo campo negli ultimi tempi sono quelli del CEMAGREF di Grenoble (M.Roussel) e dall'Ecole Polytecnique Fédérale di Losanna (V.Chritin) che tentano di realizzare un nuovo rilevatore automatico di snowdrift. Il CEN, dal canto suo, sta mettendo a punto un sistema il cui scopo è quello di valutare la trasportabilità della neve (G.Guyomarch e coll. 1994 e 1995) partendo dalla dendricità, sfericità e dimensione dei grani calcolate con il modello CROCUS. Una valutazione della trasportabilità associata ad una misurazione continua del vento dovrebbero a quel punto pernetterci di elaborare una stima dello snowdrift... Tale sistema in fase di convalida dal 1993, ed è attualmente in test preoperativo al CDM 38 (Centro Dipartimentale di meteorologia dell'Isere)
Forse un domani potrà rientrare a pieno titolo fra gli strumenti di elaborazione del bollettino valanghe. Come si è potuto fin qui constatare, la valutazione quantitativa del trasporto di neve ad opera del vento in montagna rappresenta ancora un argomento di estrema attualità.
Articolo tradotto da " Evalutation quantitative du snowdrift pour la prevision local des avalanches" pubblicato sulla rivista "Neige et Avalanche" dell'ANENA n.69 del 1995
Si è soliti riconoscere che il vento è all'origine di numerosi episodi valanghivi. E' il vento, in effetti, a causare un'irregolare distribuzione delle masse nevose sui diversi versanti dei rilievi, e in particolare la formazione di grandi accumuli, spesso instabili. La figura illustra chiaramente tale fenomeno di ridistribuzione, e ci consente di immaginare il caos che può provocare in montagna una tempesta di neve. Il fattore "vento" va quindi imperativamente preso in considerazione nella previsione valanghe, specie quando si tratta di una previsione "pendio per pendio".