La valanga del Lago santo
Il Lago Santo non è famoso come "quel ramo del lago di Como", ma è comunque un luogo incantevole e caratteristico a metri 1501 di altitudine. Quando lo rivedo, si rinnova l'emozione e negli occhi ancora lo stesso stupore della prima volta. Appare, ad un tratto, ai piedi del monte Giovo, che si staglia, gigantesco e massiccio, a strapiombo sul lago stesso. Paesaggio unico, di un'asprezza violenta, mitigata dalla pacata dolcezza delle acque, cangianti nelle diverse ore del giorno mai completamente ferme. Il loro lieve, impercettibile movimento è un tremolio leggero dovuto alla brezza che le sospinge e le increspa, quasi a voler dimostrare pulsante vita. I faggeti intorno e la natura, nel suo risveglio, conferiscono al paesaggio un'imponenza e una solennità che si fissano negli occhi del visitatore, penetrando in fondo all'animo. E' una distesa d'acqua verdognola, più scura quando vi si riflette l'ombra di una nube che passa veloce sul Giovo grigia e cupa se il cielo è coperto. Nelle belle giornate estive, il grande bacino d'acqua sorgiva (si pensa sia di origine glaciale) dà una sensazione di serenità e di raccoglimento. E il miracolo è fatto: una giornata al Lago Santo per ritrovare se stessi, in perfetta armonia con la natura. Il verde invitante e l'aria fresca che ritempera l'organismo inducono, dopo mesi di vita stressante, a riscoprire l'essenza di ciascuno di noi, la nostra identità. Ed è piacevole immaginare fra silenzi e solitari sentieri, antiche leggende che il lago nasconde nel cuore delle sue acque.
Una giovane pastorella era solita condurre il suo gregge, risalendo dal rio delle Tagliole, fin sulla riva del lago. Aveva notato, sull'opposta sponda, un pastore che dallo scorso autunno, puntuale l'attendeva. Le sue caprette pascolavano sul contrafforte del Passetto, che nasconde il Rondinaio. Nacque un amore fatto di sguardi prima furtivi, più palesi e prolungati poi, che indussero entrambi a cercarsi. Era il giorno di Natale e la ragazza, risalendo dalla valle, giunse al lago che emanava un lunare chiarore di gelo. Aveva percorso il tratto di sentiero aspro e selvaggio, ma a lei era sembrato disseminato di fiori bianchi, come per magia. Un fazzoletto rosso a pallini azzurri le fasciava il capo, valorizzando il suo bel viso. Sull'opposta sponda stava il pastore in attesa: un giovane forte, animato da sentimenti veri e profondi. I loro incontro avvenne in mezzo al lago, una forza misteriosa spinse entrambi ad incontrarsi. Si abbracciarono in silenzio e, in quello stesso istante ci fu lo schianto del ghiaccio e i loro corpi furono inghiottiti. Proprio in quel punto, come chiazza di sangue, mase il fazzoletto rosso ed accanto nacque un fiore lacustre dai candidi petali. In lontananza ululato di lupi e, a tratti, spari di cacciatori. Nella valle, invece, squillio di campane a festa.
Lontana leggenda, ispirata al sentimento senza tempo, che governa il mondo. Il Lago Santo racchiude tanti segreti, testimone di furiose tempeste, venti impetuosi, spaventose bufere di neve. A primavera, quando il gelo rallenta la sua morsa, si odono, nel profondo silenzio, a causa della caduta di grossi macigni, rumori assordanti e cupi che l'eco riporta lontano.
Il Rifugio Landi prima dopo la ricostruzione
Era l'inverno del 1969, che fu particolarmente rigido e nevoso. In primavera, però, l'aria mite preannunciava il disgelo. In quella stagione un forte boato fu udito dagli abitanti di Rotari, borgo posto nel versante opposto al lago, ma nessuno si era accorto di quanto fosse in realtà accaduto. Nello Landi, proprietario del rifugio Vittoria, abitante a Tagliole, era solito mandare, in primavera, due persone con gli sci (la strada a quel tempo non veniva aperta per le abbondanti nevicate) a fare un sopralluogo e ad alleggerire il tetto dalla neve. Le intemperie procurano, a qull'altitudine,danni più o meno gravi alle costruzioni. I due giovani giunsero, in brve tempo, al parcheggio sottostante e grande fu la loro sorpresa nel trovare, ai bordi dell'emissario del lago reti da letto, sedie, tavoli ed altro materiale d'arredamento. Capirono immediatamente che qualcosadi veramente grave doveva essere successo. Il rifugio non esisteva più, era rimasto in piedi soltanto una parte del muro a sud (quella più lontana dal lago), al suo posto un cumulo altissimo di neve, nel lago parte degli arredi che si trovavano all'interno della costruzione stessa. Un'immane valanga si era staccata dalla cima del Giovo, nel punto in cui è visibile tuttora la croce, con un fronte di circa trenta metri, aveva superato i Pianelli, sradicato alberi, massi e terra. Come una furia, considerato il dislivello di 500 metri, si era abbattuta sul lago, rompendo il notevole spessore di ghiaccio Questa immensa forza, rigurgitando contro il rifugio, lo aveva distrutto. A memoria d'uomo, in Appennino, non si sono mai verificate valanghe, ma le particolari condizioni atmosferiche di quel periodo ne favorirono la formazione. Sono passati trent'anni e il caso è rimasto, per fortuna isolato Ciò che era riuscito a concretizzare il signor Landi andò distrutto in un solo istante. Furono chiesti aiuti alle autorità locali, ma inutilmente. In un momento di sconforto Landi pensò di scrivere al Presidente della Repubblica, allora in carica, illustrando il caso con foto e documentazione. Gli fu inviato un vaglia di lire 10.000 e l'irrisorio contributo non migliorò il suo stato d'animo. Decise presto di mettersi al lavoro con l'aiuto di una ditta specializzata e non mancò il contributo della moglie e della figlia Flavia a livello di mano d'opera. Spinto dall'amore per le proprie origini e dotato di una grande tenacia, il montanaro non si arrende facilmente. Il rifugio Vittoria fu ricostruito e dopo pochi mesi d'intenso e costante lavoro poté riaprire i battenti nella stagione estiva. Chi ha visitato il Lago in quel periodo conserverà il ricordo di reti e suppellettili che trasparivano dal fondo delle acque. Sul volto dei proprietari visibili i segni della grande fatica e l'intima soddisfazione per il lavoro ultimato. A distanza di anni non c'è più alcuna traccia del percorso della disastrosa frana perché la natura ha il potere di rimangiare le ferite. Mentre si scende dal lago, fra alti e ombrosi faggi, riaffiora l'intima promessa di ritornare in questo luogo, dopo essere stati altrove, impegnati per un lungo inverno, che ci ha lasciato il peso di un altro anno sulle spalle.
Dal libro "Memorie d'Appennino" di Beatrice Gimorri