IL LAGO
SCAFFAIOLO
Piccolo laghetto
sull’Appennino Bolognese
L'aspetto del
Lago Scaffaiolo, il cui nome sembra derivi da "caffa", con il quale i
montanari spesso indicavano un avvallamento o una conca è rimasto quasi
immutato nei secoli come attestano le antiche descrizioni. Diverse relazioni
sullo Scaffaiolo sono giunte fino a noi, relazioni che fino alla visita dello
Spallanzani, avvenuta nel 1789, si limitavano a riportare le credenze popolari,
due in particolare, spacciate in alcuni casi per osservazioni scientifiche: la
prima voleva che il lago, con profondità abissali, fosse collegato con un
canale sotterraneo direttamente al mare; la seconda attribuiva a un sasso
lanciato nelle acque dello Scaffaiolo la causa dello scatenarsi delle impetuose
tempeste della zona. Lazzaro Spallanzani, che per primo osservò
scientificamente il lago, mise fine a queste credenze: con l'ausilio di una
zattera, scandagliando il fondale, determinò che la profondità massima non
raggiungeva i due metri e mezzo. Anche la seconda leggenda venne tacitata da
ripetuti lanci di sassi nel lago alla presenza di numerosi esterrefatti
valligiani. Ancora oggi il lago, pur con le sue modeste dimensioni, non manca
di destare lo stupore del visitatore attento che si interroga sulla provenienza
dell'acqua, visto che non c'è nessun immissario apparente. Gli studiosi sono
giunti alla conclusione che il lago venga alimentato solo dal modesto bacino
imbrifero che, pur nella sua limitatezza, per la natura impermeabile del
terreno e per l'assenza di vegetazione, permette che tutta l'acqua, dovuta allo
scioglimento delle nevi e all'elevata piovosità della zona, venga convogliata
nel lago dove si conserva tutto l'anno anche per effetto della temperatura
rigida e delle frequenti nebbie che limitano l'evaporazione.
IL LAGO DEL MIAGE
Lago glaciale in fondo alla Val Veny in Val d’Aosta
Il lago del
Miage, secondo una leggenda, era anticamente un laghetto ameno posto in mezzo
ad una conca verdeggiante. Sulle sue sponde sbocciavano i fiori più belli, mai
visti sulle Alpi. Il laghetto era luogo di convegno per un gruppo di fate,
tutte giovani e bellissime che, mentre i loro greggi di camosci pascolavano,
intrecciavano danze e giochi. I demoni, dall'alto delle loro dimore poste sulle
creste più impervie, guardavano rapiti quelle belle fanciulle e, un giorno,
fecero loro profferte d'amore. Le fate però, inorridite dall'aspetto ripugnante
dei loro spasimanti, fuggirono e andarono a rifugiarsi con i loro armenti in
una grotta sicura. Gli. spiriti malvagi furono presi dall'ira e nella loro
furia scossero tanto le montagne che queste precipitarono, con rombo
assordante, e coprirono quei fertili prati di massi e terriccio. Non ancora
soddisfatti, i demoni fecero avanzare il ghiacciaio del Miage e quello che era
un posto incantevole in poco tempo divenne una landa gelida e desolata. Solo il
lago si salvò, ma il suo aspetto era tanto cambiato che, anche quando i demoni
finalmente appagati si ritirarono, nessuna fata andò più sulle sue sponde a
cantare e a ballare con le compagne.
da "I racconti della
stalla" Priuli e Verlucca Editori
IL LAGO
CALAMONE
Lago alle falde del Ventasso sull’Appennino Reggiano
Al lago
Calamone erano legate due credenze, a metà tra superstizione e leggenda.
Tramandate di generazione in generazione e arricchite di fantasie, sempre più
irreali, esse accreditavano due verità indiscutibili per le genti locali.
Secondo questi "assiomi" infatti il lago non aveva fondo ma era in
comunicazione diretta con il mare (come tutti gli altri laghi), inoltre al centro
vi era un gorgo gigantesco in grado di risucchiare verso il basso ogni cosa che
galleggiasse sulla sua superficie. Lo stesso Spallanzani
si reca in loco, nel '700, per sfatare quanto allora ritenuta certezza
insindacabile e in una lettera paria delle "verità scoperte"
studiando le acque del lago.
"Ciononostante
la bella faccia di questo vero pareva soffrire qualche ombra di nebbia
dall'asserzione di alcuni. i quali mi assicuravano, che il celebre Lago di Ventasso stagna sull'ultima elevazione
di lui, quantunque derivi egli da più fontane, e sia un rilevato braccio, dirò
così, staccato, e diviso dal gran corpo dell'Appennino. Quindi io arsi di
volontà di trasferirmi sulla faccia del luogo, per ammirare qual raro miracolo,
sebbene io forte sospettassi, che nel modo esposto non andasse già la faccenda.
sapendo per pratica di qual poca fede riputar debbansi le relazioni del popolo,
il quale privo essendo d'ogni buon sapore nello studio della natura, ha
eziandio spesse volte l'occhio losco, o infoscato da un torbida umori, che lui
toglie di scorgere disappannata e nuda la verità delle cose. Né falliti
andarono i miei sospetti, poiché salito il medesimo, trovai che il lago non
esisteva altrimenti, sulla superiore sua punta, ma bensi sotto di lei, alla
distanza in circa d'un mezzo miglio. Calato dalla parte di Settentrione trovai
per via nella bernoccoluta, e scabrosa costa del monte grandissimo numero di
consuete vasche, e catini più al basso de' quali escivano dal terreno due
sorgenti assai piccole, le quali scaricavano le loro acque nel sovradetto
capacissimo Lago. Giunto poscia alle sponde, scoprii una pretta menzogna, la
quale fino allora venduta si era per vera storia. Credevano costantemente quei
buoni Alpigiani, che nel centro del Lago vi fosse un gran vortice; e la
supposta esistenza di quello aveva gli animi loro da tal timore ingombrati, che
niuno ne tempi addietro si era mai cimentato di affidarsi al mezzo con
barchetta, o zattera, od altro, ma solamente intorno a piè scalzo lo
ricercavano, per pescare gamberi e tinche, di cui è egli sommamente ferace.
Sovviemmi infatti, che prima, ch'io partissi da Reggio, trovandomi con
cert'Uomo di lunga Roba e venerabile barba, ebbe egli, come testimonio di
vista, a confermarmi lo stesso, anzi per ispezial cortesia vi aggiungeva un
secondo vortice, narrandomi con aria autorevole, e grave, che l'uno esisteva ad
oriente del Lago, l'altro a occidente, e che dalla loro irresistibile forza e
pagliuzze, e foglie, e stecchi, ed altrettanti corpi che o appostamento, o a caso
cadevan entro la vertiginosa loro circonferenza, in un batter d'occhio venivano
attratti, e avidamente inghiottiti. Fatto pertanto coraggio, con piccola
zattera fabbricata di tronchi di faggio, mi recai felicemente nel mezzo e ai
lati del Lago, stupenti quei paesani, ne mai tale cosa pensanti, e insieme, il
piombino alla mano, ebbi il desiderato contento di esplorarne il suo fondo,
levando a un tempo due vecchi, e radicati pregiudizi, l'uno della pretesa
realità del vortice, l'altro d'una profondità buonamente creduta pressoché
inscandagliabile. Dall'esame ch'io feci nel fondo per via dello scandaglio,
venni in cognizione, che l'alveo del Lago non era che una delle solite conche,
in cui fermandosi l'acque delle due teste descritte sorgenti, nascevano un Lago
proporzionato all'ampiezza del sito ricevitore.