Dalla “LA STAMPA”
«Eravamo come sassi trascinati
a valle dall´oceano bianco»
dalla vetta quando tutto ha ceduto
e i miei compagni sono morti
13/1/2003
inviato a AOSTA
LA
IL
PRESIDENTE DELLE GUIDE ALPINE DELLA VAL D´AOSTA
«Se si rimane sulle piste non si corre alcun
pericolo»
«E quando si fa un´escursione
fuori è molto pericoloso muoversi in gruppo»
13/1/2003
COURMAYEUR
LA montagna è sola e va affrontata da soli». E´ un concetto trascinato da tempi
antichi, dalle vecchie guide, che ora soltanto di rado si ascolta anche negli
ambienti di chi i monti li sale per professione. Massimo Datrino, di
Courmayeur, presidente delle guide alpine della Valle d´Aosta, risponde: «Non
so se possa essere la `´regola´´, certo è che, soprattutto d´inverno, la
montagna non si affronta in gruppo. Niente comitive, insomma, il peso degli
uomini può far crollare ciò che è in equilibrio instabile».
Il fuoripista a gennaio, non è comunque troppo rischioso?
«Precisiamo, qui non si tratta di fuoripista, ma di scialpinismo, lontano dei
comprensori dello sci, dagli impianti. Sulle piste il pericolo non c´è, esiste
un controllo costante a monte. Lo sci è sicuro dove ci sono le stazioni. In
questi comprensori si fa anche del fuoripista, itinerari che corrono lungo le
piste battute o anche più in alto. Lo scialpinismo è altra cosa».
Disciplina per professionisti?
«Certo, assolutamente. Guide alpine o alpinisti provetti».
Perché?
«Per affrontare la montagna d´inverno ci vogliono grandi conoscenze tecniche e
di territorio. Molto di più che per l´estate. Le condizioni cambiano in breve
tempo, basta un´oscillazione di 2 gradi per rendere insicuro ciò che si poteva
affrontare senza problemi, oppure un improvviso vento che muta la coesione
della neve. Le componenti del rischio sono molteplici. Ecco perché dico che
soltanto chi ha grande bagaglio di esperienza e conoscenza può affrontare i
monti innevati. Anche il professionista, poi, deve essere `´armato´´ di umiltà,
quasi illimitata».
Umiltà?
«Sì, umiltà, dote che deve avere ogni alpinista, anche quello della domenica.
Occorre avere timore della montagna, sempre. Di solito invece gli appassionati
di scialpinismo sono personaggi...diciamo particolari. Non sanno rinunciare,
arrivano in gruppo e devono a tutti i costi raggiungere la vetta e poi
scendere. Il tornare indietro è vissuto come una sconfitta, invece è saggezza,
spesso vale la vita».
In questi anni si è fatta molta prevenzione. Si è detto che per fare
scialpinismo ci vuole l´Arva, l´apparecchio che invia il «bip-bip» anche a 80
metri di distanza e fa localizzare le persone sotto una valanga. Poi ci vuole
anche una pala leggera e pieghevole da infilare nello zaino. Informazioni quasi
paradossali, come se questi accorgimenti evitassero le valanghe.
«Messaggi corretti che devono essere uniti anche a una corretta informazione
sui luoghi, sulle condizioni meteo e della neve. E´ vero però che la tecnologia
di cui disponiamo sovente induce a sottovalutare i rischi della montagna.
L´Arva, oppure una grande tecnica personale, non fermano le valanghe».
Chi lascia la città per una gita scialpinistica che cosa deve fare, allora?
«Deve mettere da parte certi pregiudizi, come quello che alle guide del posto è
meglio non chiedere nulla, altrimenti si propongono per la gita, oppure non
svelano alcun `´segreto´´. Sciocchezze, io rispondo ogni giorno a decine di
telefonate, dò informazioni, avverto che in certe zone è in quel momento
pericoloso andare».
Resta il fatto che lo scialpinismo a gennaio è fuori stagione.
«Diciamo che è commercialmente appetibile. Un tempo lo scialpinismo era
disciplina della primavera. Dietro a questa moda c´è anche una serie di
informazioni sbagliate. Riviste specializzate spingono la montagna in ogni
periodo, senza mettere in guardia dai rischi. Si ha quasi l´impressione che
basta una preparazione fisica e tecnica, in realtà ci vuole una grande
esperienza del territorio, una sensibilità che nessun manuale può darti. Tutti
vogliono fare tutto, senza limiti. Sabato ero a Cogne per fare cascate di
ghiaccio. C´erano già 50 persone divisi a metà, uno dietro l´altro, su due
cascate. Il freddo è arrivato da poco, ci sono ancora pozze appena gelate. Il
pericolo è grande, soprattutto se in molti arrampicano nello stesso posto. E
ieri c´erano 20 olandesi sul Monte Bianco, prendevano la funivia per scendere
sul ghiacciaio del Toula. Non hanno chiesto nulla a nessuno».
Ma non si può far nulla?
«Ci ho provato un sacco di volte, mi sono preso dei `´si faccia gli affari
suoi´´, per non dire altro. E´ questione di cultura. Adesso quella dominante è
di fare `´trenini´´ sulle montagne così si paga meno se ci affida alla guida e
soprattutto perché non c´è tempo di aspettare. Si fa tutto troppo in fretta».
Nelle zone delle valanghe cadute in 15 giorni in Valle d´Aosta c´erano sempre
delle guide alpine.
«E´ vero, ne parleremo al nostro interno, questo è certo. Occorre mettere un
freno a questa moda. Prima di partire bisogna fare verifiche. Queste sciagure
sono sempre accadute, anche perché esiste sempre l´imponderabile in montagna,
non si è mai sicuri al cento per cento. Ciò che è cambiato è che c´è molta più
gente in montagna, in ogni stagione, anche d´inverno, quindi i rischi
aumentano».
DESTINI
UNITI DA UNA TRAGEDIA
L´ingegnere, la segretaria, l´impiegata e
l´albergatore: quattro vite spezzate
«Non parlate di imprudenza, perché
erano tutte persone esperte»
13/1/2003
inviato a AOSTA
DOVEVA finire così, la giornata. Con le mani aggrappate alle sbarre del
cancello del cimitero immerso nel gelo e nel buio: «E´ lì?». Sì, Alessandro
Muzzioli è già nell´obitorio. Ha il volto composto, questo giovane ingegnere
che si era laureato nel 2000. Aveva trovato subito lavoro in un´azienda di
Gattico, provincia di Novara. Ai suoi piedi c´è una borsa con la giacca a
vento, appena strappata. Un lungo taglio, una specie di sette, un´unghiata
malefica. Niente di più. Poi gli scarponi, la fascia, il berretto. Faceva il
pendolare Alessandro, la casa a Genova, vicina a quella dei genitori, che ieri
sera sono partiti per Aosta. Tutte le mattine partiva presto in auto per il
Piemonte e poi tornava in Liguria. La montagna, una mania. Vicini l´uno
all´altro. C´è il corpo di Yvonne Pasqualotto, 55, segretaria in pensione, un
figlio che vive a Milano e che, nella tarda sera, stava ancora cercando di
raggiungere il cimitero. Al telefono di Aosta, risponde la sua voce, bassa e
gentile: «Lasciare un messaggio dopo...». Invece niente. Ieri mattina era
partita con i suoi amici. «E´ una meta che mi manca - aveva detto - e la voglio
fare». Era felice, entusiasta. E Sara Chasseur anche. Lavorava nell´ufficio
personale della Monterosasky. Abitava ad Antagnod. E così la ricorda un amico,
l´ex sindaco Davide Merlet: «Una ragazza solare, piena di vita. Sara era stata
segreteria qui, alla scuola di sci. All´alpinismo si era avvicinata solo da
poco. Era una che, quando iniziava una disciplina sportiva, si impegnava al
massimo. Se era fidanzata? Non lo so...». Adesso un uomo s´è avvicinato al
corpo e le stringe una mano. C´è il riconoscimento da fare e alla fine le
parole non servono. E infine Davide Jacquemod. Trent´anni, direttore
dell´Associazione valdostana degli albergatori. Figlio unico, figlio di
un´insegnante e nipote di un ex preside. Gente nota, ad Aosta. C´è una
processione, per lui. Parenti e amici. C´è una ragazza con la testa appoggiata
al muro. Piange, strappa un fazzoletto. «E´ la sua fidanzata», dicono gli
amici. Schivi e disperati. C´è un uomo. Antonio Trevisan, un funzionario del
Comune, li accoglie, seleziona e caccia via gli estranei, i curiosi. Uno dopo
l´altro, fuori dall´obitorio, sotto la luna piena, la ghiaia bianca, i lumini e
le lucine rosse delle telecamere. «Possiamo entrare...come sono?». «Sono a
posto, che vi immaginavate? Chi non se la sente, resti fuori». Un ragazzo si
tira indietro. «No, io non me la sente». Dice di essere il fratello della
ragazza di Alessandro, resta qualche minuto in attesa. Vorrebbe sapere cosa è
accaduto ma alla fine se ne va, da solo, verso un gruppo di ragazzi, ancora
vestiti da sci, con gli scarponi che fanno un rumore strano sul vialetto.
Davanti al cancello raccontano sommessi: «L´ho vista volare, un attimo, una
delle sue racchette l´ho trovata cento metri più in giù. Come un´esplosione:
prima uno scricchiolio e poi lo schianto». Ma quel fragore improvviso è perduto
per sempre e adesso, la cronaca della giornata si celebra dentro nel silenzio
perfetto del cimitero. «Impossibile, impossibile», spiega Marco Zanda. Lui nel
gruppo degli sci alpinisti non c´era, ma era amico di Sara e allora è venuto
all´obitorio. Non gliela fanno vedere ma una cosa la vuole dire: «Non parlate
di imprudenza, perchè erano tutti esperti. Li ho visti in quota, un gruppetto,
separati dagli altri. Salivano regolari, con facilità e nessuno ha messo gli
sci di traverso per abbandonare la cresta e raggiungere così prima la vetta.
Quella sì, sarebbe stata un´imprudenza». Dall´obitorio all´ospedale. Giancarlo
Negrini è uno dei sopravvissuti. Abita a Morgex, ricoverato in ortopedia, pochi
giorni di prognosi. «Non me la sento di raccontare nulla, non vorrei dire delle
sciocchezze. Magari lo farò dopo». Le sequenze più drammatiche, alla fine, le
racconta a un amico che è al suo fianco, nella stanza dell´ospedale. Frasi
spezzate: «Tutto all´improvviso, era una giornata perfetta». Ma il tempo in
questi giorni è stato bizzarro. Caldo, molto caldo, freddo, vento, neve, tanta
sopra i 2200 metri. «No, qui non c´è nessuna accusa da fare a nessuno». Negli
occhi c´è ancora l´immagine della valanga: «Le balze di roccia a metà della
montagna, le lastre di neve ventata e ghiacciata che brillano a fil di cielo,
molto freddo. Tutto perfetto...Sino a quando non s´è staccata». E l´atto finale
è all´obitorio, a contare i morti e a cercare un perchè che non esiste, almeno
per loro, che sono sono rimasti incolumi e ora cercano di spiegarsi l´uno con
l´altro cosa è avvenuto. Lo dice, per tutti, il maresciallo della Finanza
Delfino Viglione, che la procura ha incarico di svolgere le prime indagini:
«Lasciate perdere, col senno di poi...Vedremo, prima dobbiamo sentire i
testimoni». Entro pochi giorni il primo rapporto, ma a cosa serve? Nulla, sarà
una ricerca inutile, quella di una colpa che non c´è. Sta uscendo dalla camera
mortuaria, in mano ha una busta di nylon con i documenti delle due donne morte.
Cerca i parenti, che hanno scelto un angolo lontano. Si abbracciano e piangono.
Un dolore composto, viene da pensare che non c´è nè odio, nè rancore verso la
montagna. Lo spiega meglio la serenità che la morte ha posato su quei volti.
ALTRI
SEI SONO RIMASTI FERITI
Valanga in Valle d´Aosta, uccisi quattro
sci-alpinisti
Sono stati travolti mentre erano
impegnati nella scalata del Mont Fallère
13/1/2003
Beatrice Mosca
SARRE (Aosta)
A