Da LA STAMPA di oggi in Valle d'Aosta, solo per Vostra info.
Ciao a tutti.
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CONSEGNATO AL PM STEFANIA CUGGE IL RAPPORTO DELLA GUARDIA DI FINANZA SULLA
VALANGA IN CUI MORIRONO 4 ESCURSIONISTI
In 80 pagine ricostruita la sciagura del Fallère
11/2/2003
AOSTA
Non sprofondò parte della cresta del Mont Fallère alle 13,20 di domenica 12
gennaio: la valanga che travolse nove persone (quattro gli sci alpinisti
morti) si staccò circa dieci metri più in alto del gruppo e li trascinò per
oltre mezzo chilometro. Da ieri sulla scrivania del sostituto procuratore
Stefania Cugge c´è il rapporto del soccorso alpino della guardia di finanza
di Entrèves. Nei prossimi giorni il magistrato valuterà quelle ottanta
pagine con testimonianze e dati tecnici. Rapporto che rimane coperto dal
segreto istruttorio. Quel giorno salirono sul Fallère sedici sci alpinisti.
Tra loro due guide alpine, Alberto Chéraz e Luigi Vignone e un aspirante
guida, Sergio Petey, che si aggregò al gruppo. Per ora nessuno è finito sul
registro degli indagati. Il magistrato, proprio sulla base dell´indagine
della guardia di finanza, deve stabilire se ci sia stata un´errata
valutazione delle condizioni della montagna da parte delle guide, se cioè,
ci sia stata imprudenza. Alberto Cheraz, con pochi altri, era in vetta da
qualche minuto quando si staccò la valanga. «Prima di salire - ha detto la
guida - abbiamo valutato itinerario e rischi». Gli sci alpinisti erano a
circa 40 metri da loro. Il distacco, secondo le otto testimonianze raccolte
dalla Finanza, fu improvviso: una larga crepa si aprì al di sopra degli
escursionisti che procedevano insieme, a distanza ravvicinata, e con
lentezza. Non ci fu possibilità di fuga. La valanga imboccò un versante con
salti di roccia. Lì morirono Ivonne Pasqualotto, 55 anni, di Aosta; Sara
Chasseur, 33, di Antagnod (Ayas); Davide Jacquemod, 31, di Aosta e
Alessandro Muzzioli, 29, di Genova. Cinque i feriti: Marco Zavattaro, Sergio
Milani, Giovanna Ameri, Giancarlo Negrini e Barabara Giuliani.
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«Punizione che non meritavamo»
Giancarlo Negrini, uno dei sopravvissuti ripete: nessuno di noi era un
incosciente
11/2/2003
MORGEX
«Preferisco non parlare più della valanga, è una cosa delicata. Non c´è
niente da nascondere, ma la gente non capisce cosa spinge ad affrontare una
salita, cosa si prova durante e dopo». Giancarlo Negrini, uno dei
sopravvissuti alla valanga del Fallère, nella sua casa di Morgex si sta
riprendendo dai traumi riportati il 12 gennaio quando fu travolto insieme
con 9 dei 16 compagni di escursione. Sulla sua iniziale ritrosia a parlare
dell´incidente, costato la vita a 4 suoi amici, ha il sopravvento il
desiderio di spiegare, di difendere il ricordo dei compagni, «persone
esperte - dice - che non avevano sottovalutato i rischi». Gente esperta, non
solo di sci alpinismo. «Io stesso ho affrontato salite difficilissime sul
Monte Bianco come Ivonne Pasqualotto (una delle vittime ndr) che aveva alle
spalle ascensioni che molte guide non hanno. Non eravamo degli sprovveduti -
insiste Negrini -, ma chi non condivide la passione per la montagna non
potrà mai capire chi dorme attaccato a una parete con 2000 metri di vuoto
sotto di lui». «Ho parlato con i genitori di chi non c´è più - racconta -.
Mi guardavano come fossi un miracolato. Quello che è successo è stata una
punizione terribile. Il nostro gruppo non se lo meritava. La gente può dire
che siamo stati dei deficienti, ma non è così. Chi va in montagna sa che
affronta un ambiente dove bisogna muoversi con cautela. Così abbiamo fatto
quella domenica. Siamo tornati indietro tante volte in passato, ma sul
Fallère non c´erano cornici, da giorni non soffiava il vento e quando stai
salendo e vedi che il terreno è duro non c´è ragione di rinunciare».
Mancavano 40 metri alla vetta, dieci minuti di cammino, ai nove sci
alpinisti travolti e trascinati per due chilometri dalla valanga con un
fronte di 300 metri. «Siamo stati trascinati dalla parte opposta rispetto al
percorso di salita, lungo un pendio molto impervio - ricorda il
sopravvissuto -. Se non fosse andata così la valanga si sarebbe fermata
prima e non ci avrebbe sbalzati sulle rocce». «Non sono un fanatico, ma
appena potrò tornerò in montagna - conclude -. Quanto accaduto al Fallère mi
rattrista, ma sono sereno e la stessa serenità possono averla le guide che
erano con noi. Non è come sbagliare una manovra di corda. In questo caso è
diverso. Guida si diventa dopo anni di corsi e esami severissimi. In
montagna si mette la propria vita nelle mani di qualcuno di cui ci si fida e
che condivide gli stessi rischi. Questo è un valore grandissimo come
l´amicizia che legava il nostro gruppo che stiamo ricostruendo».