Scialpinista precipita per 200 metri e muore
Stefano Raffin, trentatreenne di Rovereto, è scivolato attraversando un ripido pendio
TRAGEDIA SULL'ORTLES

di Giorgio Pasetto

SOLDA. A tradire Stefano Giovanni Raffin è stato un canalone particolarmente ripido. Un passaggio obbligato, poco sotto quota 3500, per raggiungere la sommità dei Coni di ghiaccio (Eiskögelen, 3530 metri). Le lamine degli sci non hanno fatto presa sulla crosta di neve gelata, ed il poveretto è scivolato per oltre duecento metri lungo la Vedretta bassa dell'Ortles. Il trentaduenne educatore di origini lombarde, residente da qualche anno a Volano (Rovereto), ha perso la vita sul colpo.
L'ascensione era stata studiata in ogni minimo dettaglio. Sia dal punto di vista della preparazione, che da quello della dotazione tecnica. I tre amici avevano raggiunto la zona già sabato. Di prima mattina avevano risalito in auto la Valle di Trafoi fino alla località "Tre fontane" (1600 metri), poi, a piedi, i ripidi tornanti per raggiungere il Rifugio Borletti (2188 metri) e la lunga e faticosa salita al Bivacco Pelliccioli (3236 metri). Un ricovero incustodito dove i tre hanno passato la notte.
L'alba di domenica preannuncia una giornata fantastica. Sole, calma di vento, nessuna nuvola all'orizzonte. La vetta dei Coni di ghiaccio (Eiskögelen) è li, a non più di trecento metri di dislivello. Un'oretta di risalita, da compiere di primo mattino per potersi poi godere l'entusiasmante discesa in condizioni di neve ottimali. Poco dopo le sei i tre amici sono già in marcia. Stefano Giovanni Raffin, 33 anni compiuti l'otto di questo mese, milanese di nascita ma trentino d'adozione essendosi un paio d'anni fa trasferito per lavoro a Volano (Rovereto), e gli altri due amici, entrambi trentini, uno di Rovereto e l'altro di Villa Lagarina, avanzano sicuri e decisi in fila indiana.
La tragedia si verifica improvvisa, inaspettata, attorno alle sette. È un ripido canalone ghiacciato a tradire il giovane scialpinista. Che scivola e viene inghiottito dall'imbuto che scarica sulla Vedretta bassa dell'Ortles. Un volo impressionante, il corpo del poveretto si ferma solo duecento metri più a valle.
Stefano Giovanni Raffin non da segni di vita. L'allarme telefonico raggiunge il 118 lombardo che lo fa rimbalzare sulla centrale operativa di emergenza di Bolzano. Da Bressanone si alza in volo il Pelikan 2 che fa tappa a Solda per caricare due soccorritori. In pochi minuti lo sventurato viene individuato e raggiunto. Il medico non può far altro che constatarne la morte. La salma, e i due scialpinisti in comprensibile stato di shock, vengono caricati a bordo e portati fino a Solda.


DALLA PIANURA ALLE ALPI
Trasferito in Trentino per amor dei monti


CREMA. In via d'Andrea, a Crema, la notizia della tragedia è arrivata ieri a mezzogiorno, portata dai carabinieri. «Devo andare a vedere per l'ultima volta mio figlio» dice al telefono la mamma di Stefano Giovanni Raffin con una voce che sa di pianto e di angoscia, e chiude la conversazione. Poi subito una lunga corsa in auto, con il marito Franco e la figlia Laura. Fino a Silandro, in quella Val Venosta che la famiglia Raffin forse mai ha sentito nominare. Dove si incontreranno con Alessandra, la fidanzata roveretana.
Nel palazzo dove risiedono da un paio d'anni, dopo il trasferimento da Milano, la notizia trapela a stento. I Raffin sono una famiglia molto riservata e fanno pari con i vicini: abitano tutti in un condominio nuovo e i rapporti sono molto recenti, tanto che qualcuno sembra non sapere neppure che avessero, oltre a una femmina, anche un figlio maschio. Stefano, infatti, è rimasto pochissimo coi genitori a Crema. Quasi subito si è a sua volta trasferito seguendo le sigenze professionali e, forse ancor più, la sua sconfinata passione per la montagna. Ha preferito spostarsi nel Trentino, a Volano, vicino a Rovereto, dove lavorava come educatore in comunità.

IL TESTIMONE
«Sicuramente
ben preprarati»


SOLDA. Toni Reinstadler, fratello di Olaf, è stato tra i primi ad intervenire in soccorso dello sventurato. Portato in quota dal Pelikan 2, si è calato col verricello insieme con il medico d'urgenza, che non ha potuto far altro che constatare la morte dello scialpinista.
«La vittima, così come i suoi due compagni d'ascensione - ha dichiarato Toni Reinstadler al suo rientro in valle - erano sicuramente ben preparati e ottimamente attrezzati».
Disgrazia, dunque, non causata dall'incoscienza di chi affronta il pericolo senza averne le capacità.