LIVIGNO
- William Viola, 24 anni, di Merone. Dario Longhi, 20 anni, di Valmadrera.
Erano grandi amici, sono morti insieme ieri pomeriggio
a Livigno, sepolti da una valanga che loro stessi
hanno provocato lungo un canalone: un fuoripista imprudente, dicono gli
esperti. Una tragedia della montagna che ancora una volta ha
colpito al cuore il mondo degli appassionati dei monti sui due rami del Lario.
Il dramma si è verificato ieri pomeriggio verso le 16 sulla ski
area Carosello 3000 di Livigno. I due ragazzi erano
scesi lungo la pista Polvere insieme ad un amico fino
a quota 2500 metri. Successivamente avevano optato per
il fuoripista invece di imboccare la bretella battuta che collega alla pista
intermedia. Purtroppo al loro passaggio il costone ghiacciato del canalone ha
ceduto e i due giovani sono stati travolti dai lastroni e trascinati a valle
per decine di metri. L’amico che stava sciando con loro è rimasto indietro e ha
assistito impotente alla tragedia, dando l’allarme. Poco
distante due ragazze che stavano sciando hanno sentito il grido di aiuto
e sono scese a valle per dare l’allarme. Il soccorso alpino è giunto in
elicottero con i cani da ricerca. Purtroppo i due sciatori sono stati estratti
dalla neve quando per loro non c’era più nulla da fare.
La cosa che fa più male è sapere che forse interrogarsi sui perché
e ripetere le litanie eterne degli inviti alla prudenza sarà ancora una volta
inutile. Davanti ad altri due corpi senza vita, alla gioia dello sci che si
trasforma in dramma, al buio freddo che scende tra i monti e sui cuori, davanti
a tutto questo vorremmo dirvi che il prezzo più alto è
stato pagato oggi per sempre e che non ci saranno altri lutti. Vorremmo, ma
sarebbe una bugia.
Perché
probabilmente invece ci sarà una prossima volta e poi temiamo un’altra ancora, dunque
ci saranno altri silenzi rotti dal pianto dopo il rombo cupo o il soffio da
gigante della valanga, quel soffio che toglie il respiro a chi sta attorno e
spesso toglie anche la vita a chi finisce inquadrato dall’invisibile mirino del
pendio.
È che la montagna è meravigliosa ma è
anche una brutta bestia. Ci sono sentieri trafficati come vie del centro, sentieri
che più innocui non potresti immaginarne, sui
quali un giorno d’estate hanno perso la vita in un amen - a pochi
passi da un rifugio - intere comitive di
ragazzi: un temporale violentissimo, una scarica di pietre, fango e grandine,
una buca riempita d’un tratto dalla furia
della natura e diventata trappola spietata.
È che la montagna d’inverno è un
meraviglioso mondo di cristallo ma è una brutta bestia che ha anche zanne e artigli
velenosi: graffia e morde, non perdona, e quasi
gioca con chi la sale. Perché qualche volta non basta neppure essere esperti e prudenti:
lo sei, ti guardi attorno, prendi le
tue decisioni, e quando ormai le hai prese scopri sulla tua pelle che hai sbagliato, che le cose sono
d’un tratto cambiate, che ti sei infilato
in un guaio. E se va bene,
la tua esperienza e la
tua preparazione sono quelle cose che ti consentono di
tornare a valle. Succede anche ai più esperti e se succede a loro
potete capire cosa accada a chi esperto non è: incontro ai
pericoli lui ci va senza neppure rendersene conto, e quando scatta l’emergenza quell’omino diventato piccolo piccolo
di fronte alla grandezza della natura non ha esperienze cui rifarsi, non ha tecnica,
dunque non ha risposte da dare. Incredulo, paralizzato, finisce ingoiato dal dramma,
faccia a faccia con il ghigno del destino. Che
significa? Che abbiamo addomesticato tutto ma che la montagna, lei, addomesticarla
non possiamo. E bisognerà dire una
volta per tutte anche che sbaglia chi i monti li pensa e li dipinge come
semplici terreni di gioco, quasi come “impianti” sportivi a cielo aperto. Non è
così, quando ci muoviamo al di fuori degli spazi attrezzati come sono d’inverno
le piste di sci. Non ci sono righe di fondo, reti e aree
e luci artificiali, tribune e spogliatoi quando scegliamo la montagna libera e
selvaggia.
Non ci sono più spazi protetti, nè
regole esauribili in un libretto d’istruzioni, vedere a pagina
8. Così se il rischio è in agguato su una qualunque strada percorsa
mille volte, se il rischio abita persino dentro le nostre case, non possiamo
sorprenderci che quel rischio ci stia camminando o scivolando accanto anche quando
ci muoviamo tra le vette.
Non c’è risposta, allora, non c’è
difesa? Ce n’è una sola, per quanto - lo abbiamo detto - persino questa a volte
non basti, ed è circostanza che andrà pur accettata perché appartiene alla
vita. La risposta è sempre e comunque la preparazione,
la piena consapevolezza, è quella scelta virtuosa di comportamenti che discende
dal porre la vita sempre e comunque al primo posto: la propria e quella altrui,
perché a pagare le conseguenze di un nostro comportamento imprudente può essere
anche chi non aveva deciso di accettare il nostro stesso margine di rischio,
consapevole o no che fosse.
Anche sui pendii innevati, dunque, la sottile linea rossa
che separa la gioia di un brivido controllato dalla pietà per una morte che
lascia sgomenti può essere tracciata solo da comportamenti individuali
responsabili, attenti, fino in fondo prudenti.
Ma è vero anche che tragedie come quella di Livigno mettono in discussione ancora una volta, e proprio
all’apertura di una nuova stagione invernale, il concetto stesso di sicurezza applicato
all’ambiente naturale. E di fronte a queste due
giovani vite spezzate, il peso doloroso che ogni appassionato delle cime e
dello sci avverte diventa una domanda che interroga con forza le realtà e
istituzioni che hanno a cuore la montagna e la sua gente: i Cai,
i gestori degli impianti, le tante associazioni, la Fisi, gli sci club, le
guide e il Soccorso alpino, gli stessi media, ciascuno con un suo compito sul
piano dell’informazione e della formazione, dunque della prevenzione. Forse tutti insieme non abbiamo fatto abbastanza, forse abbiamo
perso troppe occasioni. E forse bisognerà cominciare davvero a cambiare strada
e pendio perché il dubbio di oggi non diventi il
rimorso di domani.
Giorgio
Spreafico
Sono morti sotto gli occhi dell’amico
Due
giovani travolti e uccisi a Livigno dalla slavina in
un canalone
Illeso
per miracolo il terzo componente della comitiva di sciatori
LIVIGNO
A quanto pare li ha
traditi la voglia di divertimento e quel pizzico d’incoscienza e d’imprudenza
che a vent’anni è più che comprensibile, ma che può costare
la vita. Sono morti travolti da una slavina che loro stessi hanno causato col
loro passaggio facendo fuoripista in un canalone William Viola, ventiquattrenne
di Merone (Como) e Dario Longhi,
ventenne di Valmadrera (Lecco).
La
tragedia si è consumata ieri pomeriggio verso le ore 16 sulla ski area Carosello 3000 di Livigno.
I due ragazzi, con un amico, a quanto pare erano scesi
lungo la pista Polvere, fino a quota 2500 metri, dopo di che, invece di
imboccare la bretella
battuta che collega alla pista Intermedia, avevano optato
per il fuoripista. Certo non immaginavano che il costone ghiacciato del canalone
potesse cedere al loro passaggio: non si erano resi conto della pericolosità degli
accumuli di neve ghiacciata causati dal forte vento e
dalle temperature molto basse degli ultimi giorni. William e Dario sono stati travolti dai lastroni e
trascinati a valle per diverse decine di metri. E’ stato l’amico
che stava sciando con loro, che era rimasto indietro e
ha assistito impotente alla tragedia, a dare l’allarme. Due ragazze di Livigno che stavano sciando poco distante hanno sentito le
sue urla disperate e sono scese a valle per allertare
gli uomini del soccorso piste. Inizialmente, a quanto pare,
non si era capito che c’era stata una slavina e così si sono mossi solo i
soccorsi da terra, col gatto delle nevi. Per di più gli uomini del soccorso
piste in prima battuta hanno imboccato il canalone sbagliato, cercando inutilmente
quelle che credevano essere le vittime di
una caduta.
Quando -
una mezz’ora più tardi - si è capito cos’era realmente
accaduto ed è stata individuata la zona esatta è partita la segnalazione anche
alla centrale operativa del «118», perché venissero subito inviati l’elicottero
e le squadre del soccorso alpino, con le unità cinofile. Per i due sciatori
però non c’era ormai più nulla da fare. Quando sono stati estratti dalla neve
(il fronte della slavina era di 50 metri ma la massa non era ingente, tant’è che i due giovani erano a
una profondità di appena
una quarantina di centimetri, a due metri l’uno dall’altro)
erano già morti. Quando il medico rianimatore con il
resto dell’équipe dell’elisoccorso ha raggiunto il
canalone in cui si era staccata la slavina, ormai non ha potuto fare altro che constatare il decesso dei due giovani, dopo di che l’elicottero
è rientrato alla base di Caiolo, mentre i carabinieri
della Stazione di Livigno e della Compagnia di Tirano
avviavano le pratiche necessarie per ottenere dal magistrato di turno, il pm Stefano Latorre, l’autorizzazione
per la rimozione delle salme. Solo un paio d’ore più tardi i due corpi sono
stati riportati a valle con la cabinovia del Carosello 2000
e poi all’obitorio. Impossibile invece nella giornata di
ieri, visto l’orario in cui è avvenuto l’incidente e il calare del buio,
completare i rilievi sul posto della tragedia: oggi carabinieri e uomini del
corpo nazionale di soccorso alpino e speleologico di Livigno
torneranno sul pendio per proseguire il lavoro. Accertamenti verranno
sicuramente
fatti anche sulla segnaletica posizionata lungo la
pista (il tracciato della Polvere è considerato di difficoltà “normale”), anche
se già ieri chi è stato sul posto sottolineava come sia impossibile che i
turisti possano aver imboccato il canalone fuoripista per sbaglio, visto che ci
sono cartelli che segnalano il pericolo e reti di protezione lungo il pendio e
la visibilità era ottima ieri pomeriggio.
L’amico
che era con le due vittime ed è miracolosamente rimasto illeso
è stato già sentito nella serata di ieri dai carabinieri, così come altre
persone che si trovavano al Carosello 3000 ieri pomeriggio, per chiarire la
dinamica. Sicuramente la procura,
per chiarire se si possano configurare eventuali responsabilità
di terzi, aprirà un fascicolo su questa tragedia: un dramma che
cade a neanche un anno dal precedente del Monte Olano, in Valgerola, dove il 26 gennaio
sono morti sotto una valanga due scialpinisti lecchesi e una milanese.
Marzia
Colombera