E ora scatta la «stangata» per gli scialpinisti
Ordinanze dei sindaci a Moena e Canazei: vietate le escursioni con le pelli di foca
LA NEVE KILLER

di Luca Petermaier

TRENTO. Moena e Canazei «off-limits» per gli scialpinisti. Dai primi giorni dell'anno i sindaci dei due comuni in val di Fassa hanno vietato le escursioni in montagna con le pelli di foca su tutto il territorio di loro competenza. E lo hanno fatto con un'ordinanza «contingibile e urgente» su consiglio delle locali Commissioni valanghe. «Il pericolo è troppo elevato» - dicono gli amministratori, che hanno deciso di estendere il divieto dal semplice fuoripista alle escursioni scialpinistiche vere e proprie.
Non è la prima volta che i sindaci vietano lo sci fuoripista. Lo ha fatto - di recente - lo stesso Pacher per alcune zone sul Monte Bondone. Ha pochissimi precedenti, invece, il divieto della pratica dello scialpinismo, uno sport che si svolge in piena libertà in zone non delimitate e per questo difficilmente controllabile.
Nel comune di Moena il divieto è scattato il 31 dicembre. Un'ordinanza del sindaco Riccardo Franceschetti ha sostituito un precedente provvedimento datato 30 dicembre nel quale si vietava la semplice pratica del fuorispista in zone pericolose per l'incolumità di terzi, come le piste da sci, le zone vicino alle strade o ai centri abitati. L'«allarme scialpinismo» arriva dopo la tragedia che sul Latemar ha coinvolto il giovane roveretano Marco Filippi. Era il 27 dicembre. Da quel giorno è stato un susseguirsi di incidenti (sul Cermis e a Pampeago, per non parlare dei casi in Alto Adige) cui si sono aggiunte altre nevicate intense che hanno reso ancora più instabile il manto nevoso. A fine anno la decisione: stop anche allo scialpinismo su tutto il comune di Moena. Una decisione sofferta per un sindaco amante delle «pelli di foca», ma una decisione necessaria: «Il pericolo era troppo elevato». Dal 31 dicembre, dunque, montagne vietate nel comune di Moena, fino a nuovo ordine: «Stiamo valutando - spiega il sindaco - di ridurre il divieto solo ad alcuni pendii particolarmente esposti al vento o a pareti nelle zone a nord». Per i trasgressori la punizione sarà una sanzione amministrativa da 25 a 500 euro.
Decisione simile anche nel comune di Canazei, dove il sindaco Fernando Riz ha disposto il divieto sia del fuoripista che dello scialpinismo per gli stessi motivi di sicurezza fatti propri dal collega di Moena: grave pericolo di distacchi di valanghe provocate dalla situazione di instabilità dovuta alle recenti nevicate. In questo caso, però, la sanzione prevista dall'ordinanza del sindaco è più alta: i trasgressori dovranno pagare cento euro di multa. Il problema è: come controllare un territorio così vasto? Il compito di polizia e carabinieri è difficile. A loro toccherà perlustrare le zone di accesso alle escursioni più frequentate, nella speranza di cogliere gli scialpinisti prima che questi si avventurino sui monti. Resta il problema legato all'opportunità di simili provvedimenti: è giusto impedire di frequentare la montagna anche in zone lontane da insediamenti urbani? I sindaci hanno richiamato l'esigenza di «preservare l'incolumità pubblica», anche a discapito della scelta individuale di mettere a rischio la propria vita per scalare una montagna con gli sci ai piedi. Il dibattito è aperto e trova negli addetti ai lavori (guide alpine in primis) i contestatori più accaniti. Giudica «assurdo» il divieto il capo delle guide alpine della provincia di Trento Walter Vidi che (nell'articolo in basso) contesta l'«eccessiva genericità» delle ordinanze che mettono al bando lo scialpinismo su un intero territorio comunale.
Resta il fatto che l'emergenza valanghe è attuale e ne sono dimostrazione i due incidenti mortali in Alto Adige. Passata l'emergenza, l'intenzione (già manifestata) dei sindaci è quella di limitare l'ambito di applicazione dell'ordinanza, individuando le zone più pericolose in modo da non penalizzare eccessivamente una pratica - lo scialpinismo - nella quale l'assunzione del rischio è una scelta individuale.
carlo Tomasini è la quinta vittima di questo tragico inizio di stagione invernale, la quarta negli ultimi dieci giorni (a inizio dicembre era morto un turista di Teramo): è ancora fresco il ricordo della tragedia di domenica scorsa sulla Cima San Matteo sul Cevedale, sopra Peio, quando a perdere la vita era stato Gottfried Unterhofer, sepolo da una slavina caduta ad oltre tremila metri d'altezza. E la memoria va anche al dramma del 27 dicembre, quando sulla Forcella dei Camosci (nel gruppo del Latemar) era morto Marco Filippi, 33 anni di Mori. Erano saliti in sei amici per una giornata divertente che purtroppo si è rivelata drammatica. E pensare che la zona che i sei avevano deciso di battere era considerata a rischio moderato.
Ma con la montagna non si può mai sapere quanto il rischio sia calcolato: le due tragedie di ieri, purtroppo, lo stanno a dimostrare con inquietante scientificità.