3/9/2006
di Gaelle Dupont
ANGMAGSSALIK. Il paesaggio trae in inganno. Ai bordi della
calotta di ghiacci della Groenlandia, tutto sembra perfettamente immobile.
Dovunque si posa lo sguardo, non trova che pietre e
ghiaccio. Dov’è il cielo? Dov’è la terra? Dov’è il mare?
In questo scenario smisurato, i riferimenti abituali si perdono. A ovest, un
deserto abbagliante di neve si stende fino all’orizzonte. A est, un gigantesco
fiume pietrificato, il Helheimgletscher,
scende verso un fiordo, stretto tra due alte montagne. Il ghiaccio,
all’apparenza liscio, si torce e si spacca man mano che ci si avvicina al mare,
dove i grandi iceberg vengono imprigionati dalla
banchisa. L’acqua del fiordo non si vede. Ghiaccio di acqua dolce e di acqua di
mare si mischiano formando sulla superficie uno spesso strato bianco venato di
strisce.
Nulla mostra il fantastico movimento in corso, impercettibile. La calotta di
ghiaccio sta cedendo. Si sta sciogliendo. Tendendo l’orecchio si percepisce un
suono simile a quello di un grosso torrente di montagna: è l’acqua che scorre
sotto il ghiacciaio. Ogni anno da qui
«L’avanzata dei ghiacciai verso il mare è in corso da centinaia di migliaia di
anni», dice Rayner, «ma la perdita di ghiaccio ai
margini veniva finora compensata dalla neve che si
depositava sulla calotta. Oggi il cedimento accelera. Questo ghiacciaio avanza
di
E’ colpa dell’uomo
Il riscaldamento è più sensibile ai poli rispetto alle regioni temperate.
Dall’inizio del XX secolo qui è stato misurato un aumento medio di
Ma non è finita. L’arrivo di grandi quantità di acqua dolce nel mare rischia di
portare perturbazioni alla Corrente del Golfo, che porta acqua calda alle coste
europee. Senza di essa, la temperatura scenderà di
Fucili, birra e foche
La popolazione vive il cambiamento climatico sulla propria pelle. Angmagssalik, la principale comunità della costa est, ha
qualche migliaio di abitanti. Il record di tutti i tempi è stato registrato il
13 luglio 2005: «Facevano 25,3°C, la gente aveva così caldo che per tutto il
giorno non faceva che cercare l’ombra», ricorda il medico locale Hans Christian Florian. Il paese, appena sotto il Circolo polare, si
arrampica sulle rive di uno degli innumerevoli fiordi. Assomiglia ad altri
villaggi nordici, un agglomerato di casette di legno gialle, rosse, verdi e
blu, in giro ragazzi in jeans e scarpe da basket. Ma basta una visita al
supermercato per scoprire che è un posto speciale: sugli scaffali ci sono i
fucili da caccia, per comparli basta aver compiuto 14
anni. E’ un paese di cacciatori: di foche, narvali, orsi, orche bianche, trichechi.
Per molti è ancora un mestiere, per tutti un passatempo
e una fonte di entrate supplementari. Accanto ai fucili nel negozio sono
ammassati i sacchi con cibo per cani da slitta. Le mute, costrette
all’inattività dal disgelo, sono legate un po’ dapertutto
nel villaggio, e ululano la loro noia al sole notturno.
Tutti i prodotti vengono importati dalla Danimarca,
dalla quale
Al supermercato, è impossibile non accorgersi anche delle piramidi di lattine
di birra. Fuori, nel villaggio, coprono le strade come un tappeto. «Anche se
non riguarda la maggioranza della popolazione, l’alcolismo è un vero problema»,
commenta Hans Christian Florian. Lo testimonia una nonnina che si sposta a quattro
zampe sull’erba ingiallita, nell’indifferenza generale. Un’altra piaga è il tasso
dei suicidi, quattro volte più alto che in Danimarca.
«Non abbiamo più fame!»
In poco più di un secolo gli abitanti di Angmagssalik
sono passati dalla vita di cacciatori-raccoglitori alla civiltà digitale. Nel
1884, i 413 Inuit scoperti dal pastore Gustav Holm vivevano in completa
autosufficienza. Erano dei «sopravvissuti della preistoria», ha scritto Paul-Emile Victor dopo essere vissuto qui per due anni
negli anni ‘30. L’etnologo ha descritto una «civiltà della foca», della quale veniva utilizzato ogni più piccolo pezzo di carne, grasso,
pelle e ossa. «Sila naalagaavok», il tempo è maestro,
dice un assioma Inuit. Karl
Pivat, cacciatore di 73 anni, il dito puntato sulla
mappa, racconta gli sconvolgimenti portati dal clima: «Prima, c’era molta più
neve e ghiaccio, oggi i ghiacci si ritirano e la banchisa si sta
assottigliando». Se la prende con i Paesi ricchi e i loro gas serra? «Per Karl è una domanda senza senso», spiega Anders
Stenbakken, il direttore dell’ufficio per il turismo
che ci fa da interprete. «Lui non cerca una causa. Constata il cambiamento e vi
si adatta. La maggior parte dei groenlandesi temono il riscaldamento molto meno degli occidentali. Sanno che l’uomo è vulnerabile
di fronte alla natura, fa parte della loro esperienza». Il vecchio cacciatore
trova nel cambiamento qualcosa di buono: ci racconta che negli ultimi dieci
anni i ghiacci si sciolgono più rapidamente, la navigazione si è allungata di
un mese e le estati sono più calde. Chi potrebbe lamentarsi di «fiori più alti
e più numerosi», e di poter «cacciare più a lungo la
foca con la barca»? Il vecchio ha visto altri tempi. E’ nato in una casa di
pietra e torba, dove le fessure venivano tappate con
budella di foca. La madre gli raccontava storie del mondo antico, di eroiche
battute di caccia, di lunghe feste e morti violente. Suo padre cacciava con il
kayak, e con l’arpione. Con gli anni sono arrivati «i fucili, la radio, i
canotti a motore». «Abbiamo i confort, la televisione. Non sappiamo più cosa
sia la fame!» Dopo tutti questi cambiamenti rivoluzionari, qualche grado in più
non può impressionare più di tanto.
La ritirata degli orsi
Dines Mikaelsen è più
preoccupato degli anziani. E’ nato 29 anni fa a Isertoq,
un insediamento tra i più poveri, dove pezzi di carne e grasso di foca sono
sparsi per terra intorno a capanne fatiscenti, e i pesci vengono
appesi a seccare alle finestre serrate. Dines va a caccia, come suo padre prima di lui: «Da quando ho smesso
di poppare», sorride. Grande conoscitore della regione, Dines
vede i cambiamenti nelle rotte di migrazione degli uccelli. Vede l’orso polare
fuggire verso nord. L’animale vive sulla banchisa, ma la superfice
ghiacciata del mare diminuisce del 3% in un decennio e l’orso si fa sempre più
raro. Seppure protetto dalle quote di caccia, resta la preda preferita, e la
sua spartizione segue ancora regole ancestrali: la pelliccia e la testa a colui
che per primo ha avvistato l’animale, la carne divisa tra l’uomo che l’ha
ucciso e la sua famiglia, in senso esteso. Denis porta anche una notizia
rassicurante, «il comportamento delle foche per ora non è mutato».
«Ora guadagneremo di più»
Gli «effetti negativi del cambiamento climatico, come gli uragani», vengono menzionati da Andersine Hansen-Kristianses Siumut,
giovane deputata del consiglio municipale e vicesindaco. Ma per lei riguardano
«altre parti del mondo»: «Qui, la riduzione della banchisa ci ha dato più
giorni di pesca e ci permetterà di guadagnare di più». Thomas
Kristensen Atassut,
rappresentante cittadino presso il parlamento autonomo della Groenlandia,
menziona un altro dato fondamentale: nella regione è arrivato il merluzzo, e
con lui la possibilità di sviluppo. Ad Angmagssalik i
tre quarti dei lavoratori dipendono dall’amministrazione e il prezzo della
pelle di foca, in caduta libera dopo le campagne degli ambientalisti, viene sostenuto solo grazie a sovvenzioni.
«Quando il ghiaccio si ritira, è come se si levasse un coperchio, lo spazio che
si libera viene riempito dalla vita», spiega Jacqueline McGlade, direttrice
dell’Agenzia europea per l’ambiente. «In 5-10 anni nascerà un nuovo ecosistema
marino, e si tratta di dargli il tempo di svilupparsi. E’ necessaria una
moratoria di almeno 5 anni. Spero che gli abitanti locali non saranno vittime
dei cambiamenti climatici. Ne hanno viste tante. Sanno come sopravvivere».