UN ALTRO INVINCIBILE
NEMICO:
Silenzio e pace quale premio ai soldati che hanno combattuto sui monti; ed
asperità della natura che impone eccezionali doti di uomo e di soldato nel
compimento del proprio dovere. Ad un’altezza oltre la quale si spegne ogni
forma di vita e la stessa natura si fa nemica dell’uomo, è difficile, anche
alla presenza delle moderne tecnologie e dei sempre più avanzati ritrovati
scientifici che possono portare l’uomo su altri pianeti, riuscire a credere e a
capire come le truppe alpine impegnate nella Grande Guerra siano riuscite a
continuare la propria esistenza in condizioni tanto impervie,
quanto estreme.
La lotta contro il maltempo e le tormente, il freddo e gli assideramenti
diventò molto spesso più importante della lotta stessa contro il nemico.
Soprattutto in inverno e alle quote più alte i combattimenti cessavano quasi
del tutto e i soldati erano impegnati allo spasimo a difendersi dalla neve, a
cercare di mantenere i collegamenti con il fondovalle per avere i rifornimenti
di cibo e di legna per riscaldarsi, e a tenere le trincee sgombre. L'inverno
fra il 1916 e il 1917, oltretutto, per sfortuna dei combattenti, fu tra i più
freddi e nevosi del secolo e anche se ormai i due eserciti si erano organizzati
per resistere alle alte quote con la costruzione di baracche, di ricoveri, di
caverne nella roccia e di decine di chilometri di teleferiche per i rifornimenti,
la vita divenne lo stesso quasi impossibile.
Per sottrarsi alla morsa del maltempo nel ventre della Marmolada gli Austriaci
costruirono una vera e propria città sotto il ghiacciaio con oltre otto
chilometri di gallerie e ricoveri per gli uomini, depositi di viveri e
munizioni, stazioni delle teleferiche, un'infermeria, gli uffici del comando:
in tutto vi erano una trentina di caverne scavate nello spessore del ghiacciaio
a parecchi metri di profondità, collegate fra loro da cunicoli muniti di ponticelli
e passerelle. In qualche punto i soldati vivevano sino a quaranta metri sotto
la superficie del ghiacciaio.
La temperatura all'interno scendeva raramente sotto lo zero, mentre all'esterno
il termometro segnava anche 20 sotto zero. L'ideatore di questo villaggio fu il
capitano Leo Handl, comandante della compagnia di Bergfuhrer (cioè di guide alpine "militari") che
si trovava in Marmolada.
Impiegando dunque le stesse tecnologie offensive per lo scavo di gallerie di
mina, analoghi tunnel vennero scavati anche
sull'Adamello (dove per il trasporto vennero utilizzati cani e asini e dove
venne realizzata una galleria lunga più di cinque chilometri che collegava il
Passo Garibaldi con il Passo della Lobbia: era illuminata da 120 lampadine
elettriche alimentate da due gruppi elettrogeni, attraversava 25 crepacci e
aveva 80 camini per la ventilazione) e nell'Ortles.
Sempre in Marmolada il 17 dicembre 1916 avvenne un tragico episodio che può essere preso ad esempio di un alto grave pericolo a cui
dovevano far fronte i soldati in quella guerra: quello delle valanghe, un
fenomeno che nell'inverno 1916-17 provocò più vittime dei combattimenti.
Quel giorno un'enorme slavina, che è stata calcolata in oltre un milione di
metri cubi di neve, travolse il villaggio di baracche austriaco del Gran Poz e provocò oltre 300 vittime. Le ultime salme poterono
essere recuperate solo nella successivi primavera col
disgelo. Ma tutto il fronte, più in generale, venne
perennemente flagellato