30
gennaio 1937: la valanga di Rocca la Meja
a cura di Enrico
Collo
1937-2007: il
30 gennaio ricorrono i 70 anni dalla tragedia che sotto forma di valanga si
abbatté su un intero plotone di alpini del Battaglione Dronero, la 18a
Compagnia, lasciando 23 corpi senza vita, di cui 7 ricuperati soltanto in tarda
primavera con lo scioglimento della neve, tra il 14 maggio e il 3 giugno.
Eventi ricostruiti dalla pubblicazione: "Almeno la memoria" di Mario
Cordero; Comunità Montana Valle Maira, 1987
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Gennaio
1937, esercitazioni militari invernali: la Valle Maira era attraversata da
gruppi di soldati che marciavano sotto una fitta nevicata, sforzo necessario
per temprare il fisico e lo spirito di tanti giovani ragazzi in vista di una
guerra che si sentiva ormai imminente.
Risalgono a
quegli anni le grandi opere di fortificazioni necessarie per la realizzazione
del Vallo Alpino, che dalla Valle Stura risale lungo il Vallone dell’Arma,
attraversa l’Altopiano della Gardetta, prosegue verso il gruppo dell’Oronaye,
Acceglio, il Colle Sautron, Chiappera, il Colle Maurin e il Colle di Bellino,
svalicando in Valle Varaita.
Molte
casermette, bunker, teleferiche e strade sterrate della Valle Maira furono
realizzate proprio in quel tempo di grande tensione internazionale, con
Francia, Italia e Germania intente alla realizzazione di immensi fronti
difensivi che percorrevano le rispettive linee ci confine. Con esse cambia il
volto della valle, fino ad allora percorsa in molti valloni da semplici
mulattiere ed ora rivoluzionata dai molti cantieri che ne miglioreranno in
futuro le vie di comunicazione, visto che per scopi bellici rimarranno
pressoché inutilizzate.
In tale clima
le Compagnie di alpini lasciano la caserma di Dronero per dividersi
all’altezza di Stroppo: la 18a verso Marmora e Canosio passando per
la Strada dei Cannoni; la 19a, che organizzerà i primi soccorsi,
prosegue verso Prazzo e il vallone di San Michele.
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L’inverno fino
a quella settimana si registrò povero di precipitazioni, dato da non trascurare
per gli eventi che seguirono: in pochi giorni infatti oltre un metro di neve
pesante si depositò in quota su un manto ghiacciato.
Il preludio
della disgrazia si ebbe il 28 gennaio in Valle Stura, sulla strada fra Vinadio
e Pianche, quando nel pomeriggio una pattuglia di alpini – di rientro da un
approvvigionamento viveri – venne travolta da una slavina che si staccò dai
ripidi versanti rocciosi; 4 uomini di testa furono sepolti, e di essi uno
solo si salvò. Nell’occasione le cronache parlarono di una immane nevicata che
perdurava da tre giorni e di valanghe a ripetizione lungo la Valle Stura, che
misero fuori uso ogni sistema di comunicazione isolando la popolazione.
In Valle
Maira sappiamo che il cattivo tempo perdurò fino alla sera del 29
gennaio, quando il cielo si rischiarò e le nuvole vennero trascinate via da un
insidioso vento di scirocco, segno di pericolo ulteriore per la saggia
esperienza dei montanari.
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Dopo tre giorni
trascorsi avanzando sotto la nevicata, con tappe a Stroppo e Canosio, la
mattina del 29 gennaio la 18a Compagnia si presenta al Preit.
L’insistenza degli abitanti riesce a convincere il capitano Noè Trevisan a non
procedere oltre, ma il giorno successivo – tradito dal miglioramento del tempo
– quest’ultimo non volle più stare a sentir ragioni: in modo indispettito diede
l’ordine ai suoi uomini di partire, facendo rientrare dalla strada normale
verso Acceglio soltanto i muli. Una decisione sprezzante dei consigli alla
prudenza, forse dettata dalla volontà di dimostrare la superiorità del comando
e l’eroismo dell’esercito di fronte alle paure e ai timori dei “rozzi
montanari”, come venne bruscamente ad apostrofarli.
Raggiunte con
grande difficoltà le grange Culausa, gli alpini avanzavano lentamente, addossati
l’un l’altro a causa del muro di neve dentro cui sprofondavano ad ogni
passo, mentre davanti il gruppo degli sciatori li precedeva in modo più
spedito. Questi ultimi infatti, con il capitano in testa, avevano già raggiunto
il passo che li immetteva sull’Altopiano della Gardetta, fra il Colle del Preit
e il Gias della Margherina, mentre gli alpini con le racchette li seguivano a
un centinaio di metri di distanza: il passaggio da affrontare era sicuramente
il più rischioso, lungo la temibile pietraia nord-occidentale di Rocca la Meja.
Passato
l’ostacolo, sarebbero stati sicuramente salvi: stravolti dalla fatica, ma lieti
dello scampato pericolo e dello scenario invernale della Gardetta, sempre
straordinario. In quelle condizioni ci sarebbero volute ancora due ore di
marcia in salita, prima di arrivare alle casermette sotto il Passo della
Gardetta, ma le insidie sarebbero ormai state alle spalle.
Le casermette della Gardetta, dove
nel pomeriggio sarebbe dovuto arrivare il battaglione.
Sullo sfondo La
Meja: la valanga si staccò dal versante a sinistra, in ombra.
(Fotografia di Bruno Rosano)
Soltanto un
centinaio di metri: togliersi al più presto da quella pietraia! Ciò che
avvenne subito dopo è un concorso di cause fatali: l'essere
passati lungo un itinerario di mezzacosta; lo strato di neve
fresca già tagliato dagli sciatori; le racchette che sprofondavano, minando
alla base un già precario equilibrio; lo scivolo di ghiaccio sotto l’enorme
peso della neve appena caduta; il vento di scirocco che tanto timore incuteva
ai montanari…
Ore 13.30: i
cento metri non ci sono più. L’improvviso boato, neppure il primo della
giornata. Il sibilo sinistro della slavina. Lo schianto violento che inghiotte
di colpo 30 alpini, troppo vicini fra loro e le corde da valanga arrotolate ai
fianchi e non distese. La vita trascinata via in un baleno. Lo sgomento, il
respiro che manca, il silenzio: la paura che ancora ti assale, oggi, al solo
pensiero.
Alcuni si salvarono subito, 16 vennero ricuperati il giorno successivo, 7
furono ritrovati soltanto in primavera. Ecco la storia di quella lapide ai
piedi delle propaggini di Rocca la Meja, scolpita su un grande masso e col
piccolo altare ad onorarne la memoria. Pochi secondi di terrore, 70 anni dopo:
come se il tempo si fosse congelato nell’estremo abbraccio dei corpi
recuperati, negli occhi spalancati all’inutile sacrificio.
Primavera 1937: la squadra di
ricerca degli ultimi 7 alpini ancora sotto la neve
(Fotografia conservata nel municipio di Canosio)
Gran parte dei
giovani deceduti aveva 21 e 22 anni; uno 23; uno 24; il più anziano 26. Molti
dei superstiti vennero in seguito inviati nella tragica Campagna di Russia.
Ancora neve, freddo, gelo: conobbero un altro volto della morte bianca, su una
infinita distesa piatta, lontano dalle Alpi che dovevano difendere,
abbandonati a un destino assurdo e con la tremenda certezza di
essere stati dimenticati laggiù.
“Almeno la
memoria”: così Mario Cordero volle intitolare in modo incisivo e toccante la
sua approfondita ricerca storica per conto della Comunità Montana nella
ricorrenza dei cinquant’anni della valanga, nel 1987. Altri 20 anni sono
passati: la gente di Canosio, del Preit e gli alpini continuano ogni estate a
salire lassù, la mattina del 16 agosto, pregando in ricordo di quei giovani a
cui venne negato un futuro da raccontare...
Il luogo della tragedia
Foto e testi:
Enrico Collo
Eventi
ricostruiti dalla pubblicazione:
"Almeno la memoria", di Mario Cordero; Comunità Montana Valle Maira, 1987
Dall’archivio
de "La Stampa", 4 febbraio 1937
LA
SCIAGURA DI VAL MAIRA
Cuneo, 3 notte
Venti
alpini, dei quali il più vecchio era il loro comandante di plotone, il tenente
Marchioni di Frosinone, che soltanto da pochi giorni aveva aggiunto al suo cappello
il secondo gallone d’argento, hanno trovato la morte fra l’ondata di una
slavina.
La neve
aveva cominciato a scendere fittissima nella provincia di Cuneo e con estrema
intensità verso le alte vallate, la notte di mercoledì scorso, alla vigilia della
partenza per le escursioni invernali del battaglione Dronero, comandato dal
maggiore di Stato Maggiore Chiusi, che si era già spostato a Prazzo in Val
Maira, una borgata a un'ora circa di automobile da Dronero.
Le tre
compagnie lasciavano la cittadina alpestre sotto una nevicata imponente che
durava poi tutto il giorno successivo e si prolungava fino a venerdì per
placarsi soltanto nella notte sotto la spinta dissipatrice di un vento gelido e
impetuoso.
La
tragica slavina
Nessuno poteva supporre il cambiamento di temperatura verificatosi il sabato scorso. Alla notte rigidissima di venerdì successe una giornata quasi tiepida. Il sabato mattina, secondo gli ordini ricevuti dalle superiori autorità, le tre compagnie del battaglione dislocate in località diverse, prendevano la strada della montagna.
Si iniziava il ciclo faticoso, ardito e qualche volta addirittura eroico delle esercitazioni invernali che ogni anno si svolgono per tutti i reggimenti alpini, da quando gli alpini sono stati istituiti.
La diciottesima compagnia del battaglione Dronero, appartenente al secondo reggimento alpini della Divisione Cuneense, doveva la mattina di sabato scorso spostarsi dalla frazione Preit, ove era arrivata il giorno prima, al passo della Gardetta. Sul passo che è alto 2437 metri esiste un ricovero che gli alpini della diottesima dovevano raggiungere.
Il capitano Trevisan, comandante della Compagnia, alla testa di un plotone di sciatori, apriva la marcia. Alle ore 14 l’intero reparto si trovava ormai alla fine della sua fatica ed anzi il capitano era già arrivato con gli sciatori al rifugio ove l’aveva poi raggiunto il primo plotone. Il secondo, comandato dal tenente Marchioni, procedeva a mezza costa quasi sotto la vetta, il terzo lo seguiva a breve distanza.
Ad un certo momento di sotto gli uomini del secondo plotone è partita una slavina della profondità di una cinquantina di metri e lunga altrettanto, di uno spessore di poco superiore ai cinque metri.
Il tenente, due sergenti e una ventina di alpini vennero travolti dalla neve molle, pesante che, precipitando a valle, li sepolse. Un attimo solo e fra il primo e il terzo plotone si stabilì il tragico vuoto. I superstiti della diciottesima si lanciarono immediatamente al soccorso dei compagni e cinque ne estrassero dalla neve, tre dei quali un po’ più gravemente feriti, vennero inviati all’ospedale di Bra e due, che appena ammaccati e contusi restarono coraggiosamente sul posto.
Sotto la tormenta
Della sciagura venne immediatamente avvertito il comandante di battaglione che domenica mattina era già sul posto con il comandante di reggimento, colonnello De Castiglioni.
Intanto un’altra compagnia del Dronero, la diciannovesima, al comando del capitano Palazzi, muovendosi da fondo valle, con ammirevole celerità si portava in prossimità in prossimità del passo. Una seconda valanga per poco non la travolse.
A malgrado del pericolo imminente e persistente gli alpini seguitarono il lavoro sotto la tormenta che cominciava ad infuriare. Agli alpini si aggiunsero i valorosi militi della confinaria.
Alle otto arrivarono da Alessandria S.E. Bastico, comandante di Corpo d'Armata, il generale Gerbino Promis comandante della Divisione alpina «Cuneense», il generale Testa, e poco più tardi, provenienti da Roma, S.E. Bollati, aiutante di campo di S.M. l'Imperatore, S.E. Tua, comandante il Corpo d'Armata di Torino, S.E. il Prefetto Vezio Orazi, il Federale di Cuneo Antonio Bonino.
Alle quattordici di domenica la opera di soccorso venne sospesa per le condizioni atmosferiche avverse e riprendeva lunedì mattina e S.E. Canale, ispettore delle truppe Alpine, proveniente da Roma, iniziava un'inchiesta.
Nella sera di detto giorno e nelle prime ore di quello successivo sedici salme erano già recuperate e precisamente raccolte nella chiesetta di borgo Preit.
Persistendo il pericolo delle valanghe S.E. Canale ha fatto cessare le ricerche e trasportare a Canosio, una borgata più accessibile che non quella di Preit, le salme che quivi sono state pietosamente racchiuse nelle bare e collocate temporaneamente nella chiesetta di tale borgata ove le hanno vegliate ininterrottamente plotoni di Alpini agli ordini del capitano Palazzi.
Questa notte le bare verranno portate a spalle dai commilitoni in fondo valle, di dove con camions raggiungeranno Dronero e ivi deposte in una camera ardente allestita nella caserma alpina "Aldo Beltricco".
I funerali verranno eseguiti in forma solennissima sabato prossimo a Dronero. Il primo saluto alle vittime della montagna è stato dato dal prefetto di Cuneo, ex-Federale di Roma, S.E. Orazi il quale ha parlato alle compagnie radunate sul luogo della sciagura infondendo agli alpini, con la sua calda parola nuova e rinnovata energia per le future imprese.