Mercoledì, 9 Luglio 2008
Figura carismatica dell’alpinismo mondiale tra gli anni Sessanta e Settanta, formidabile bevitore e iracondo attaccabrighe, lo scozzese Dougal Haston non mancò di occupare un posto da star nell’immaginario collettivo del mondo alpinistico di allora, ma la sua figura è poco conosciuta dalle nuove generazioni. A riempire questo vuoto arrivala biografia di Jeff Connor “Dougal Haston la filosofia del rischio” appena uscita nella collana “I rampicanti” delle edizioni Versante sud.
Introverso, avvezzo a grandi bevute sin dalla giovinezza, sempre ”arrabbiato”, Haston potrebbe entrare a pieno titolo tra i personaggi di un dramma di John Osborne. Il libro, risulta un po’ noioso nella prima parte con l’elenco infinito di ascensioni nelle highlands scozzesi e in Galles, ma diventa avvincente quando racconta il periodo della maturità alpinistica. È il lungo periodo trascorso a Leysin, dove ereditò la direzione della scuola internazionale di alpinismo da John Harlin , caduto nell’apertura della direttissima sulla Nord dell’Eiger, di cui Haston stesso fu uno dei protagonisti, delle migliori realizzazioni sulle Alpi e in Himalaya, in coppia prima con Don Whillans e poi con Doug Scott.
Proprio
con Scott, Haston condivise un epico bivacco a 8200
metri di quota senza tenda, né
sacco a pelo né ossigeno dopo la prima ascensione della parete Sud Ovest dell’Everest:
un esempio dell’impegno fisico e mentale che profondeva nelle sue salite estreme.
Dai propri, Haston quasi si riscattò nell’ultimo periodo della sua vita, abbandonando bevute e atteggiamenti superomistici, dimostrando più sensibilità e disponibilità verso gli altri. Sembrava meno ossessivo e arrabbiato nella ricerca della libertà, “nel percorrere il cammino scelto di penetrare gli estremi”.