ALPINISMO: K2; MESSNER: UN'IDIOZIA TENTARE LA VETTA
COL BUIO
(ANSA) - BERLINO, 4 AGO - L'alpinista italiano
Reinhold Messner, in un'intervista alla televisione tedesca N24, ha detto oggi
che scalare la vetta del K2 a poche ore dall'oscurità "oltre a non essere
professionale è una vera idiozia".
Messner ha paragonato la tragedia di questo fine settimana a quella che nel
1996 è costata la vita a nove alpinisti sull'Everest.
"Quella volta la tragedia fu causata da una tempesta e dalla morte di due
guide; sul K2 è stata una slavina che ha sbarrato le via del ritorno - ha detto
Messner -. Resta il fatto che gli scalatori in entrambi i casi non avevano
l'esperienza per uscirne in maniera autonoma".
"Non sarà l'ultimo incidente di queste dimensioni - ha concluso Messner -,
finché non terminerà questa stupidaggine di portare gruppi di turisti sul K2 e
sull'Everest".
"Sul K2 un grave errore nel fissare le
corde"
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C’è stato il crollo del seracco che ha
inghiottito le corde fisse, rendendo estremamente difficile la via del ritorno
e costringendo gli alpinisti a trascorrere la notte di venerdì in prossimità
della vetta, a 8.300 metri d’altezza. E poi, soprattutto, la valanga che sabato
mattino ha sepolto sette scalatori, sfiorando l’italiano Marco Confortola. Ma il disastro del K2, che ha provocato undici
morti (tra cui due portatori tornati indietro per soccorrere i propri compagni
di spedizione), non è stata causata soltanto dalle insidie della seconda
montagna più alta al mondo. Alla base della tragedia, la più grave nella storia
himalaiana, ci sarebbero anche «gravi errori umani».
Ad
ammetterlo è il capospedizione olandese Wilco Van Rooijen, dato per
disperso e poi salvato grazie all’intervento dei compagni Pemba
Sherpa e Cas Van de Gevel,
accorsi in suo aiuto dopo essere riusciti a scendere per primi nella notte tra
venerdì e sabato. Recuperato da un elicottero pachistano e trasportato
all’ospedale di Skardu, dov’è in cura per un
principio di congelamento, Van Rooijen ha raccontato
ieri che quando la spedizione giunse al campo 4 tutto era perfettamente sotto
controllo. Poi, però, accadde qualcosa. Alcuni alpinisti che aprivano la
spedizione avrebbero infatti «sbagliato a collocare le corde», fissandone
alcune anche sul famigerato «collo di bottiglia», un tratto particolarmente
pericoloso del percorso. Non è stato l’unico errore. «Ognuno lottava per se
stesso» ricorda, sottolineando come qualcuno abbia anche provato a scendere da
solo. «La gente correva giù ma non sapeva dove andare, così molti si sono persi
sul lato sbagliato della montagna».
Le
accuse di Van Rooijen riaccendono le polemiche sulle
cause del dramma. Già nei giorni scorsi alcuni dei massimi esperti d’alpinismo
a livello mondiale, da Reinhold Messner, il primo a conquistare tutte le 14
cime che superano gli 8mila, a Kurt Diemberger, uno
dei più famosi scalatori del dopoguerra, avevano puntato il dito contro
l’alpinismo di massa, colpevole di portare su vette difficili come il K2, per
motivi commerciali, persone non esperte. Tanto imprudenti, per esempio, da
tentare di raggiungere la cima della «montagna delle montagne» col buio.
Nessuno,
però, ha mai messo in dubbio le capacità di Marco Confortola,
che, secondo Wilco Van Rooijen,
è anche tra coloro che hanno effettivamente conquistato la vetta. Ieri,
accompagnato da quattro portatori e da un alpinista statunitense, lo scalatore
valtellinese è riuscito a scendere per circa 1.300 metri di dislivello, dal
campo 3 a campo 1, a circa 5900 metri, dove si è fermato per la notte. Un
percorso difficile, segnato anche da alcuni momenti di tensione. I cinque
sfiniti, avanzavano molto lentamente, per il principio di congelamento ai piedi
che affligge l’italiano e la stanchezza generale, tanto che Roberto Manni - il compagno di cordata che gestisce le operazioni
di salvataggio dal campo base - è intervenuto via radio per spronarli, fino a
quando hanno raggiunto le tende.
Proprio
la radio portata dall’alpinista americano, ieri pomeriggio ha permesso a Confortola, che nella valanga ha perso anche il
satellitare, di parlare per la prima volta con la famiglia dopo quattro giorni
di silenzio. «Lassù è stato un inferno - ha raccontato al fratello Luigi -.
Durante la discesa, per la quota e la fatica mi sono addirittura addormentato
in mezzo alla neve a oltre 8.000 metri e quando mi sono svegliato non mi
rendevo bene conto di dove mi trovassi». Ma, ha rassicurato, le sue condizioni
sono buone. «Le mani stanno bene, mentre i piedi sono neri per il principio di
congelamento. Comunque riesco a camminare».
Determinato come sempre, l’«iron
man» valtellinese ha parlato anche con Agostino Da Polenza,
presidente del comitato Everest-K2 Cnr, che coordina i soccorsi insieme
all’Unità di crisi della Farnesina e all’ambasciata pakistana. «Non ho mai
mollato in vita mia, non mollo sicuramente adesso», ha detto all’amico. Poi ha
rievocato i momenti più terribili. «Quando sono arrivato giù ho visto che non c’erano
più le corde fisse, c’era il vuoto sotto di noi». Eppure non ha mai scordato
gli amici, «Mi ha chiesto della mia compagna Stefania, che pochi giorni fa ha
subito un intervento chirurgico - sorride Da Polenza
- mi ha stupito che in una situazione così difficile se ne sia ricordato».
Tempo permettendo, oggi Confortola dovrebbe
raggiungere il campo base avanzato, a 5.300 metri, dove potrà essere recuperato
da un elicottero e portato all’ospedale di Skardu.
Finalmente in salvo.
mercoledì 6 agosto 2008
Dottor Gallo, alla luce di
quanto accaduto sul K2, crede che si sia trattato di una fatalità o la colpa
risiede anche nella poca esperienza degli escursionisti?
A dire il vero penso che la causa di quel che è successo sia maggiormente
ascrivibile alla sfortuna. Si è trattato sicuramente di una tremenda fatalità
la cui causa è tutt'al più da attribuire a fattori climatici difficilmente
calcolabili piuttosto che all'inesperienza. Da un po' di tempo si verificano
eventi atmosferici e climatici anomali e difficilmente prevedibili. Anche
all'alpinista più esperto risulta molto complicato pronosticare il comportamento
del clima.
Quindi non è così scontato puntare il dito contro la natura commerciale
della spedizione.
Quando crolla un seracco come quello e segue una valanga di neve non credo che
si possa dare la colpa al fatto che la spedizione fosse commerciale. La caduta
di un seracco che rimuove tutte le corde fisse è un evento in sé straordinario
e rappresenta un grave pericolo a prescindere dal carattere più o meno
commerciale della spedizione che ne rimane vittima. Personalmente non mi
entusiasma l'idea di portare persone prive di un'adeguata preparazione a 8.000
metri di quota. Ma anche qui dobbiamo distinguere. Infatti vengono chiamate
“commerciali” anche spedizioni come questa sul K2, che di commerciale ha ben
poco.
Potrebbe precisare ulteriormente quest'ultimo punto?
Spesso vengono indicate come rischiose quelle escursioni organizzate al solo
fine di portare in vetta persone che non hanno la minima esperienza di
alpinismo. Ciò avviene, ad esempio, sull'Everest. Posso assicurare che
escursioni di questo tipo sul K2 non se ne vedono, è tutto un altro discorso. E
spesso su questa montagna vengono definite commerciali spedizioni organizzate
da grandi alpinisti i quali si mettono insieme perché magari non dispongono del
budget necessario a intraprendere singolarmente un'ascensione. C'è un'enorme
differenza fra una spedizione di questo tipo ed una organizzata a scopo
meramente turistico.
La recente disgrazia occorsa a Karl Unterkircher è
stata da molti paragonata agli eventi di cui stiamo parlando. Quali differenze
ci sono fra un caso e l'altro?
Nel caso di Karl si parla di alpinismo di punta, estremo. Alpinisti della sua
levatura sono sempre alla ricerca di nuovi itinerari, di nuove linee di salita
su pareti straordinariamente difficili e sovente inviolate. È chiaro che
affrontando simili situazioni il rischio cresce esponenzialmente. Si tratta
dunque di due eventi totalmente differenti. Il K2 è una montagna che, sebbene
molto difficile, è scalata moltissime volte l'anno. La parete del Nanga Parbat, dove Karl è morto, è una salita che nessuno
aveva mai avuto il coraggio di affrontare. Ma in entrambi i casi, e questa è
un'opinione personale, mi risulta difficile parlare di “sport”.
In cosa differisce l'alpinismo dallo sport comunemente inteso?
A mio modo di vedere, nella mentalità. L'arrampicata sportiva può essere a
tutti gli effetti indicata come sport vero e proprio, ma quando si decide di
scalare una montagna come il Nanga Parbat, o il K2,
in gioco c'è una riflessione personale, un modo di misurarsi con la vita.
Ricordiamoci che nonostante il K2 veda un'affluenza decisamente maggiore di
escursionisti rimane una montagna difficilissima e rischiosa. Lo sport per sua
natura non prevede una sfida e un confronto così diretto con la morte.
Ultimamente però, come ho già detto, anche questo aspetto rischia di essere
messo a repentaglio dalla sempre più incerta prevedibilità dei fattori
climatici. Un alpinista che ha alle spalle anni e anni di esperienza acquista
un'eccezionale familiarità col ghiaccio, la roccia, il seracco. Questa viene
però ultimamente contraddetta da fenomeni del tutto inimmaginabili che si
verificano sempre di più durante stagioni considerate di norma “buone”.
Spiace però che la montagna faccia notizia solo quando si parla di eventi
dal risvolto tragico. Perché l'alpinismo sembra interessare solo in queste
occasioni?
Purtoppo questo è un tasto dolente. Tutti noi
alpinisti vorremmo avere maggiori opportunità di parlare in maniera positiva
della nostra attività e delle nostre imprese, ma i grandi giornali sportivi
offrono spazi davvero insignificanti. È da molto tempo ormai che l'alpinismo
non è più di moda, interessa sempre meno. Se poi l'unica immagine che se ne dà
è sempre così ferale, non si può pretendere che possa esercitare un particolare
fascino sulla gente. L'esempio di Unterkircher in
questo senso è particolarmente significativo. Quando salì l'Everest e il K2 in
un'unica stagione e in stile alpino nessun giornale, se non chiaramente di
settore, ne parlò. L'anno scorso è salito con successo in vetta al Gasherbrum
passando per la parete nord, fino ad allora inviolata. Ma questo evidentemente
non fa più notizia.