La tragedia della miniera in cui nel 1904 morirono sotto la neve oltre 80 minatori

IL BETH, UN PEZZO DI STORIA INDUSTRIALE

Eco delle valli valdesi-16-04-04

- Davide Rosso

Ripercorrere la storia della tragedia del Beth a 100 anni di distanza, e soprattutto leggere l’elenco dei nomi, con a fianco residenza ed età, degli 81 morti (82 se si conta anche il minatore sepolto dalla valanga del gennaio 1904, in qualche modo un avvertimento a quanto sarebbe successo il 19 aprile dello stesso anno), suscita diverse emozioni e pensieri. Molti erano al di sotto dei 30 anni. Pochi quelli che superavano la trentina, solo tre erano sopra i 50. Arrivavano da Pragelato e dalla val Chisone ma anche dalla val Germanasca e dalla val Pellice. Diversi erano quelli di Abbadia, Pinerolo, San Secondo, San Pietro val Lemina, della Francia. Uno era di Perugia altri di Belluno. Un mondo di giovani che lavorava nelle gallerie, che erano state aperte a 2.800 metri di quota sullo spartiacque fra la val Troncea e il vallone di Massello, ed estraeva calcopirite (da cui si ricavava mediamente il 7% di rame e il 42% di zolfo). Il materiale, dopo un primo trattamento, con un sistema di decauville, teleferiche e treni veniva portato prima a Pinerolo e poi a Marsiglia. Qui veniva trasformato e commercializzato, pare come verdemare.

Ancora oggi al Beth si possono vedere i resti di quella che era l’attività estrattiva. L’imbocco delle gallerie, quel che resta delle baracche dei minatori, alcuni resti del sistema di trasporto. Molto però non si vede più, trascinato via dalla valanga del ’04 o smantellato dai proprietari che hanno preferito vendere i macchinari al continuare un’attività divenuta non più redditizia. Ma l’attività delle miniere del Beth in qualche modo sono emblematiche della storia industriale della valle. Inizia ufficialmente a metà ’800 con l’apertura delle gallerie sul versante di Massello e continua fino al 1910. Negli anni l’attività estrattiva è cresciuta dando lavoro a quasi 300 persone che lavoravano su tre turni. Alla fine dell’800 fu portata l’acqua e poi a inizio ’900 la corrente elettrica utilizzando l’energia del Chisone. L’elettricità permise di utilizzare i martelli pneumatici anche se inizialmente fu preferito, dalla direzione, l’avanzamento manuale più economico e veloce. La val Troncea e Pragelato dalle miniere trassero guadagno e lavoro, anche chi non era occupato in miniera, per esempio chi lavorava nelle osterie di Laval, Plan, Traverse o Troncea. Insomma “le ricchezze”, che un’antica leggenda narrava che nascondesse il Beth, si erano materializzate. Forse, più realisticamente lo sfruttamento del territorio da parte di imprese esterne e il lavoro degli abitanti e di molti che salivano al Beth per avere un salario furono uno dei motori della trasformazione dell’economia delle Valli da agricola a industriale. Ma a che prezzo. Nel caso del Beth, la valanga che travolse gli 81 minatori il 19 aprile del 1904, mentre cercavano di scendere a valle sotto la nevicata, preoccupati dell’incombere della massa nevosa e ormai a corto di viveri, pose fine all’attività con una delle tragedie più grandi del ’900 in Italia.

Leggere la storia che ha preceduto la tragedia, e soprattutto quella degli ultimi giorni, la dice lunga sulla condizione in cui si lavorava, dei rapporti dei lavoratori con la dirigenza. La partenza dei minatori descritta nelle testimonianze dei sopravvissuti (e raccolte per esempio nel libro di Gian Vittorio Avondo “Vite nere”*) ci parla di persone che sapevano a cosa andavano incontro e proprio per questo prendevano le precauzioni del caso (dividersi in squadre, distanziarsi nella speranza che nel bisogno ci fosse qualcuno ad aiutare, voglia di partire e in silenzio, per non causare quello che poi sarebbe successo. Ma c’era anche chi voleva ripararsi nelle gallerie e aspettare). Nonostante tutto dal Ghinivert e dalla Punta del Beth si staccarono due enormi masse di neve che travolsero tutti, le squadre appena partite e quelle ancora sulla porta e dentro le baracche.

Poi le cronache del tempo ci parlano degli aiuti che arrivarono, degli scampati, del cordoglio e quindi delle esequie ufficiali. Non mancarono anche le polemiche per un funerale fatto in fretta con sepoltura cattolica a due valdesi (poi riesumati e riinumati alla presenza del pastore). Le cronache ci parlano anche di collette e di aiuti alle famiglie dei morti da parte della popolazione, di raccolte di fondi fatte dai giornali e dagli enti pubblici, anche il governo stanziò dei fondi, e alla fine si arrivò a raccogliere pare la cifra di 70.000 lire. Si distinse la Società mineraria che dichiarò subito di voler stanziare 10.000 lire ma a settembre del 1904 pare non avesse ancora liquidato le giornate di lavoro degli operai ai famigliari. Gli ultimi corpi furono recuperati nel giugno del ’04 quando la neve lasciò definitivamente spazio ai prati. L’attività delle miniere del Beth continuò ma nel 1910 le miniere chiusero definitivamente i battenti.

Se in tutti questi anni non si sono dimenticati i fatti del 1904 (anche se un certo oblio c’è stato dagli Anni 20 fino a metà degli Anni 70) quest’anno in particolare, a 100 anni da quella tragedia, il parco della val Troncea, il Comune di Pragelato, l’Atl e la fondazione Guiot Bourg hanno organizzato una serie di appuntamenti per ricordare ma anche per riflettere sull’attività mineraria di un tempo in val Chisone e Germanasca, cioè su una parte importante di storia delle Valli.

*Gian Vittorio Avondo: Vite nere, storia delle miniere del Beth e della grande valanga del 1904, Pinerolo, L’altro modo, 1997

 

" Da diversi giorni nevicava e la neve sempre più aumentava d'altezza, i minatori che si trovavano al di qua del Bet, sul versante della Troncea, temendo il pericolo dell'approssimarsi di una valanga, decisero di scendere a valle e nonostante il direttore, ingegner Rodriguez, dalla Fonderia, telefonicamente, li sconsigliasse, il mattino del 19 aprile 1904 si misero in viaggio verso Troncea. Alle ore undici due valanghe quasi contemporaneamente si staccarono, la prima dal Bric di Mezzogiorno e la seconda dal Gran Terminale (Ghinivert). Quest'ultima fu di proporzioni così grandi che travolse ogni cosa: baraccamenti, palizzate, antivalanghe, teleferiche? Non ci fu scampo: travolti i minatori in marcia e quelli nelle baracche." (Testimonianza del superstite G. San Martino di Salza di Pinerolo, raccolta da M. Mensa in "Pragelato, notizie storiche" ed. Alzani )