1885 L’anno delle valanghe

 

Il gennaio 1885 prende il via con una giornata particolarmente bella ma piuttosto fredda. A questo fanno seguito due giorni di cattivo tempo, con delle nevicate improvvise e piuttosto abbondanti che colgono di sorpresa gli abitanti delle nostre città. Dopo una tregua data dal maltempo il 4 si ha un nuovo peggioramento con condizioni meteorologiche incerte che durano quattro giorni ma non danno luogo a nevicate; il 9 e il 10 si osserva un graduale miglioramento . Dall’11 al 14 predomina un ritmico alternarsi di giorni sereni e di periodi incerti sino al 15 quando i cuneesi, svegliatisi sotto un cielo cupo e minaccioso, s’incamminano per le strade delle città e delle campagne nell’aria fredda e umida. Nel corso della giornata il vento, mantenendosi sempre piuttosto debole, varia costantemente di direzione provenendo prima da Nord, poi da est, da sud est ed infine, verso le sei del pomeriggio, dal quadrante occidentale. Si ha quindi una prima nevicata a partire dalla notte molto inoltrata sino alle tredici del giorno successivo (all’Osservatorio del Seminario di Mondovì il diligente Don Bruno segna. 80 centimetri di neve discesa). Le precipitazioni riprendono il 16 a tarda ora e si protraggono per tutto il 17, con vento debole ma costante da Ovest e forti piogge, ed il 18 caratterizzato da una forte instabilità della direzione delle correnti d’aria. Il 19 il vento da Nord-nord-est porta finalmente il sereno, pur non evitando che una piccola perturbazione transiti su Mondovì alle ore 13 dello stesso giorno; le temperature passano da -2,0°C a 4,6°C. S’instaura poi un periodo di alta pressione, che permette agli astronomi di osservare un’eccezionale pioggia di stelle cadenti, e dura sino al 29 quando la neve torna a cadere per tre giorni.

 

Erano ormai le ventuno ed il silenzio nei corridoi del seminario di Mondovì veniva rotto solamente dal mormorio dei chierici che recitavano Compieta. Don Bruno uscì sulla torretta del suo Osservatorio rabbrividendo al contatto con l’aria fredda e umida. Da alcuni anni assolveva al compito assuntosi con meticolosa regolarità e precisione; lesse l’anemometro che indicava 5 m/sec e lo annotò sul quaderno con la matita spuntata che teneva nella capaci tasche della tonaca:”Vento moderato da Ovest, copertura dieci decimi, barometro:temperatura -1.4, altezza 5.45 da correggere a 6.19”. Mondovì stava dormendo sotto un cielo plumbeo ed opprimente, le strade da poco rischiarate dall’illuminazione pubblica, venivano percorse soltanto dalle ronde dei Carabinieri Reali. Presero a cadere i primi fiocchi di neve..

Nelle nostre vallate di montagna, nessuno probabilmente si accorse del mutamento delle condizioni atmosferiche. Il vecchio Matteo Garnero, probabilmente preso per mano dall’insonnia, uscì fuori dalla baita in cui abitava con i figli. Aspirò avidamente l’aria pura:le nubi sottraevano allo sguardo gran parte delle montagne e della vallata, schiacciando ogni cosa. Gli animali inquieti vegliavano nella stalla. All’inizio i primi fiocchi larghi e leggeri si erano posati silenziosamente posati sul terreno gelato come tante piccole falene. Ora però l’assistere a questa violenta, serrata pioggia bianca, gli provocò un senso di soffocamento ed ansia; scappò verso l’uscio colpito dall’improvvisa ed irrazionale paura di annegare in quel mare bianco che saliva a vista d’occhio. Tornato in casa si rimise a letto rassicurato dal calore delle coperte e dal tranquillo, sordo russare di qualcuno.

 

 

Il mattino il sole non volle farsi vedere e tutti rimasero colpiti dalla quantità di neve caduta nella notte. A Saluzzo il Comune venne colto di sorpresa e le strade non poterono essere liberate prima di mezzogiorno, suscitando le proteste di molti che non avevano potuto recarsi alla messa mattutina, ai lavatoi e nelle botteghe. Dal municipio risposero ai privati ricordando i loro doveri, riguardo allo sgombero delle strade e dei tetti, puntualmente disattesi. I montanari, dopo aver accudito agli animali, si chiusero nelle cucine e nelle stalle, intrattenendo i piccoli con i racconti delle loro avventure in gioventù e rischiarando l’ambiente con il giallo di una fumante mezzaluna di polenta.

 

Sin dal mattino nelle nostre valli si diedero da fare per ripristinare le comunicazioni: i cantonieri, alzatisi presto, s’imbatterono in una coltre di neve che sul Colle del Mortè, tra Roccaforte e Chiusa Pesio, e sulle Langhe, raggiungeva già il metro e novanta. A nessuno venne in mente di metter il naso fuori di casa. Soltanto due operai di Tenda, Viale Guglielmo e Bottero Giovanni, dopo aver salutato i figlie le mogli Margherita e Maddalena, si allontanarono in direzione della regione “La Punta” con altri due compagni per sgomberare la strada nazionale. La tormenta era fortissima ed il procedere divenne sempre più faticoso. Il silenzio della valle veniva rotto soltanto dal calpestio degli scarponi che affondavano nella neve che continuava a cadere con intensità tale da levare il fiato.. Ad un tratto, nel biancore diffuso, scorsero a fatica una figura nera ed indistinta che veniva loro incontro; era un viandante che aveva valicato il colle giorni prima e stava cercando di raggiungere il paese. Pur non avendolo mai visto lo salutarono quasi con affetto offrendogli un po’ della loro grappa. Lo interrogavano con curiosità sulla sua provenienza e sulla sua meta. Presi dalla conversazione non si avvidero del cupo e innaturale tuono che risuonava per la valle. Giovanni e Guglielmo lasciarono al loro dolore due mogli e sei figli; si salvarono invece due colleghi restati indietro e il viaggiatore salvato più morto che vivo da alcuni giovani accorsi.

Alcune vallate più in là, a Pontechianale, l’anziano fattorino postale si alzò per recarsi a distribuire le poche missive giunte la sera prima: dopo una parca colazione, salutò sua moglie Caterina, anche lei vecchia e piena d’acciacchi, ed uscì. Fu colto da una valanga sulla strada appena fuori del paese e venne ritrovato alcuni giorni dopo. Il commento delle autorità:”Risulta da lacuni giorni disperso il fattorino di Pontechianale. Si dovrà effettuare una ricerca non tanto per portargli aiuti certo ormai inutili quanto piuttosto per recapitare le lettere che aveva con sé che possono essere di qualche importanza”.

A Canosio intanto da due ore si stava lavorando nella regione “La polveriera” per estrarre dalla neve Ponzo Filippo che era stato investito con le sue tre mucche ed il somaro mentre li abbeverava: lo ritrovarono svenuto assieme all’unica vacca sopravvissuta.

Verso sera un’altra valanga, dopo essersi divisa in tre lembi, investì la borgata Chiabrando superiore, nel comune di Brossasco ed abbattè tre case, determinando la morte di 9 persone. In particolare con Chiabrand Pietro morirono la figlia di 5 anni e la moglie Giuliano Domenica; il figlio Chiabrand Matteo, venne ritrovato dopo due giorni grazie all’intervento di un cane che fuggì dalla casa in cui era stato portato in salvo; giunto sul luogo del disastro iniziò a fiutare, a guaire e a scavare affannosamente.

I soccorsi, rappresentati da 20 soldati di fanteria, partirono da Saluzzo solo il 24 gennaio e giunsero a Gilba dopo un giorno di marcia continua.

A Chiusa di Pesio, sempre il 17 gennaio, Salvano Brigida e la figlia vengono estratte vive dalle macerie della casa e del caminetto dove erano intente a far sciogliere la neve.

 

 

Sono le dodici, nella parrocchiale di Frassino rischiarata soltanto dalle poche lampade e dal paramento bianco del sacerdote, i pochi fedeli fanno risuonare il loro canto:”In nomine Jesu òmne génuflectàtur, caelestium, terrestrium et infernorum” festeggiando la festa del Santissimo Nome di Gesù. La maggior parte degli abitanti delle frazioni mancano per le abbondanti nevicate e dalla montagna non giunge suono di alcun genere; per tutta la valle si sente soltanto il suono cupo del torrente che scorre sotto il ghiaccio. Verso le quattro del pomeriggio, le strade erano deserte; il cielo scuro opprimeva case e animi mentre la nebbia celava completamente la vista della montagna stessa.. Ad un tratto il silenzio venne rotto dalle grida di alcuni giovani che arrivarono correndo in paese: alcuni di loro erano a dir poco terrorizzati ed uno di essi, in particolare, era ferito in modo evidente ma non grave all’occhio destro. Furono in molti a precipitarsi fuori dalle case per comprendere che cosa fosse accaduto. Da quel che poterono capire, i sei ragazzi originari di Meire Fasi si erano recati il mattino a Frassino nonostante il maltempo ed avevano fatto ritorno alle loro case verso le dodici e trenta, dopo essere usciti dall’albergo del Gallo. Avviatisi verso la Borgata Olivieri, in vicinanza del vallone erano stati investiti dalla valanga e trasportati dalla neve per circa 200 metri. Lavorando faticosamente di gambe e mani erano riusciti a trarsi in salvo e si erano affrettati verso Meire Torre temendo il peggio. Avuta notizia del disastro erano tornati a cercare aiuto al Comune.

Il segretario Isaja, definito dal giornalista della “Sentinella” come coraggioso ex furiere alpino, diede l’allarme e s’incamminò di buona lena: il silenzio della valle venne improvvisamente rotto dal rullo dei tamburi e dalle campane che suonavano a stormo. Liberati gli abitanti di Torre, rimasti bloccati nelle loro case miracolosamente rimaste intatte, i soccorritori si gettarono a capofitto nella neve marcia ed alta circa due metri mentre dall’alto provenivano disperate grida d’aiuto. Giunti a Meire Fasi iniziarono rapidamente i salvataggi venne estratto per primo il conciliatore con i quattro figli, poi una famiglia di sette tutti vivi, ed in seguito un altro gruppo di nove individui illesi allo stesso modo. Quando ormai le ricerche sembravano dare ottime speranze presero a venire alla luce i primi cadaveri, che venivano trasportati alla cappella di S.Sebastiano di Torre. Con i ceri di questa e altre chiese, si continuò a lavorare sino alle due di notte, salvando 25 persone. A Meire Martin frattanto Garneri Matteo di Domenico, Garneri Pietro, Garneri Matteo fu Chiaffredo e Garneri Battista, dopo essersi salvati grazie al riparo offerto loro da un muro in prossimità di una fontana, scoprirono con sgomento che la loro borgata era scomparsa. Pietro per primo si scosse dal torpore e dal disorientamento in cui erano piombati: una voce lo chiamava da quel limbo bianco e senza punti di riferimento. Si buttò a capofitto nella neve scavando con le mani rosse e callose, senza curarsi della fatica  e della stanchezza. Dopo ore di fatica trovo il tetto della sua stalla e raggiunse sotto le macerie prima la madre morta, poi la moglie priva di sensi e con il femore spezzato. Infine si diresse verso il luogo da cui provenivano le grida disperate ed il pianto del figlio. Lavorò per due ore fra le mura sbriciolate e i muri frantumati, i vestiti inzuppati si gelavano ma non pensò a nulla che non fosse sue figlio. Quando giunse ad abbracciarlo era ormai morto. Battista a sua volta trovò la sorella terrorizzata e schiacciata contro un castagno dove era stata gettata dalla furia della valanga, mentre era intenta a cucinare.

I quattro continuarono, senza curarsi delle esigenze loro e dei loro cari, a scavare instancabilmente tra le macerie, privi com’erano di qualsiasi attrezzo. Salvarono prima delle dieci di sera quindici persone, a questo punto, stanchi ed amareggiati, dovettero affrontare la fatica di raggiungere le Meire Garneri per trascorrere la notte. Furono 400 i passi percorsi attraverso quell’inferno, battendo la neve marcia con una tavola, a piedi nudi, con gli arti lussati o fratturati e un lattante in spalla. Impiegarono quasi due ore. La strage non si limitò a queste povere persone: ogni valle del cuneese e del torinese contò i propri caduti.

Vicino ad Aisone un ingente massa di neve staccatasi dalle pendici del Peitagù, investì una casa di sei persone e tredici capi di bestiame. Arlotto Giacomo ed il figlio Pier Giuseppe di 14 anni sentirono un rumore cupo che si avvicinava alla casa accompagnato dalle grida disperate degli animali: sorpresi da uno schianto e sollevati da terra verso la bassa volta della camera, vennero ritrovati in un angolo ore dopo. Anche la madre, Agnello Lucia, venne ritrovata morta, con un figlio di otto anni ed un orfano che avevano a balia; del loro piccolo di otto mesi non si trovò più traccia. Sempre ad Aisone undici operai, che di propria iniziativa tentavano di sgomberare la strada per ripristinare i collegamenti con la valle, vennero colti da una seconda valanga. Dieci di loro se la cavarono con tanta paura e qualche ammaccatura. Quella sera Francesco Anfossi attese invano con la numerosa famiglia il figlio di vent’anni, rimasto schiacciato contro un rovere.

A valle di Demonte, cinque case della borgata Ghivio furono rase al suolo assieme a molti alberi da una valanga staccatasi dalla Rocca Lunga. Non sappiamo se vi furono vittime: la Provincia sussidiò undici persone fra cui le famiglie Spada, Rocchia, Arduino, Bruno, Dessero e Brunetto per la perdita delle case. Alle ore tredici una nuova enorme valanga investì un gruppo di cantonieri a monte di Moviola, sulla sinistra della Stura. Intenti a riaprire il passaggio verso Demonte con l’aiuto dei cavalli e dello spartineve, vennero strappati dalla strada e portati sul fondovalle:si salvarono in quattro con due cavalli. Biancotto Giovanni(45 anni), Spada Giovanni (38 anni), Trossello Sebastiano (33 anni), unico celibe, perirono nella sciagura. Due dei corpi vennero ritrovati da un certo Simone nel letto della Stura. A casa di Biancotto Giovanni restarono la moglie Valney Maria ed i gemelli Giovanni e Maddalena di 5 anni. Magnetto Maria con i figli  Teresa di 8 anni, Mauro di 3 anni e Giovanni di 11 mesi, attesero invano lo Spada.

In frazione Ribasso un giovane di 29 anni, certo Bernardi Giacomo, venne investito da un’ennesima valanga e di lui si perse ogni traccia. In  Valle Grana la situazione non era molto differente: a case rey un caseggiato in cui abitavano otto persone venne raso al suolo. Due valligiani, tale Chiapale e Lerda, fortunatamente poco lontani dal luogo del disastro, riuscirono ad estrarre malconce ma vive 7 persone. A San Rocco di Pradleves una valanga travolse una casa nuova senza fare vittime, ma disperdendo interamente il suo contenuto. Reyneri e Fontanelle, frazioni di Montemale, furono investite da grossi blocchi di neve marcia che distrussero parecchie case e fienili. A Fontanelle perì Chiapello Teresa che lasciò il marito Chiapello Giovanni Battista ed i figli Anna di 18 anni, MAria Clotilde di 15 e Giuseppe di 12. Anche a Cavaliggi di Valgrana, situata sul fondovalle ed alla base di pendii veramente poco acclivi, si ebbe una vittima: Menardo Maddalena, schiacciata da una trave del tetto, abbandonò dopo ore di agonia il marito Pietro e i figli Antonio (9 anni), Giuseppe (8 anni), Giovanni Battista (5 anni), Pietro (4 anni) e Margherita di 2 anni. Dopo una breve tregua le valanghe ripresero a scendere in Val Varaita dai prati del Garp di proprietà degli abitanti della Borgata Caudano. Attraversati i prati degli Scorti la massa di neve rovesciò alberi e quattro grange (proprietari gli Abello, i Giordana, gli eredi Abelli e Signorile Giacomo) uccidendo e schiacciando 30 pecore. I vecchi non ricordavano nevicate simili neppure nei racconti dei loro nonni.

 

 

Verso sera i soccorsi con il delegato di Pubblica sicurezza Cardone partirono da Saluzzo; la nevicata continuava in alta Valle Varaita dove intanto gli uomini di Frassino avevano raggiunto Meire Martin con l’aiuto di tavole e corde; lungo il tragitto si presentò ai loro occhi uno scenario apocalittico. Agli Oliveti la valanga aveva tagliato a metà una casa trascinando con sé una donna e lasciando la stalla con due vacche. Un ragazzo di nove anni venne sorpreso e schiacciato a Meire Bruna mentre cercava di attingere acqua. In borgata Danna un fanatico, inerpicatosi su un pilone da lui fatto costruire, asseriva che una casa non toccata dal disastro si fosse salvata per aver dipinti sul uro gli stessi santi da lui venerati: trascurava di non avere più una casa, o perlomeno di averla 9 metri sotto di sé.

Attraverso i racconti dei superstiti riportati sui giornali dell’epoca nei giorni successivi si possono rivivere quelle ore drammatiche. Una donna di Meire Fasi si era accorta per pirma della catastrofe imminente e,nonostante il boato della nube che scendeva a grande velocità, era riuscita ad urlare:”La valanga, la valanga” Il grido le era stato soffocato in gola. Matteo Garneri sin dal mattino aveva provato una strana inquietudine. Il senso di soffocamento e l’ansia erano cresciuti con il passare del tempo e l’accumularsi della neve. Approfittando di una tregua del maltempo era uscito di casa per andare a prendere la legna; gli animali nella stalla parevano partecipi della sua irrequietezza. Un tonfo sordo, senti come se qualche cosa si fosse rotto in lui: un rombo cupo prese a salire d’intensità mescolandosi ai belati disperati delle capre. Gridò:”Guardatevi, c’è la valanga” e cercò di rientrare in casa. Quei pochi metri, che anni prima avrebbe percorso in un balzo gli furono fatali. La massa di neve lo schiacciò contro l’uscio mentre i figli, rannicchiatisi in fondo alla stalla, si salvarono tutti. Molti furono gli episodi in cui spiccarono il coraggio e l’abnegazione della gente di montagna; fra questi va ricordata l’abnegazione di una madre che morì facendo da scudo al bambino con il proprio corpo. Un reduce della Crimea riferì al delegato provinciale di non aver mai avuto tanta paura in guerra come nelle 30 ore in cui era stato sepolto. Un ragazzo di 17 anni restò 24 ore a capofitto, quando fu liberato rigettò il pane datogli da mangiare; aveva entrambe le gambe fratturate “in modo orribile” e, trasportato presso il tabaccaio suo parente su di una slitta, venne trovato senza speranze dal medico il giorno successivo. Sotto Meire Martin alcune grange furono coperte da dieci metri di neve ed anche il custode sparì. Una ragazza piangendo chiedeva, girando fra i soccorritori come ipnotizzata, se per caso non erano ancora stati dissotterrati gli altri sette membri della sua famiglia. Fu l’unica superstite grazie ad una porzione del tetto che aveva retto. Un vecchio di ottant’anni, un po’ sordo, mentre stava mungendo non si accorse dell’evento e pensò a tutta prima di essere vittima di uno scherzo. Prese a picchiare alle porte della stalla urlando:”Ah, pelandroni, me l’avete fatta!”. Non ricevendo risposta si addormentò sul suo giaciglio svegliandosi di tanto in tanto per bussare alle porte e mungere. Il mattino i vicini lo salvarono dopo aver praticato un foro nella neve; resosi conto dell’accaduto perse la parola e restò sotto choc per parecchio tempo. Vennero trovate in un locale sepolto sette persone morte per asfissia che “furono schiacciate nel momento in cui il padre stava tosando un montone, ed una donna che stava allattando un bambino che, sebbene quasi nero per il genere di morte che gli era toccata, mostrava di essere bellissimo”. A Meire Fasi una donna trovò incastrati nel muro distrutto della casa due scatole ed un pitale contenenti 13400 lire, 12000 napoleoni d’oro e 1400 scudi d’argento; marito e figli tutti morti. In Valle Varaita i soccorsi erano costituiti dal pretore di Sampeyre, dai carabinieri, dalle Guardie Forestali, dagli alpini del tenente Rossi, dai medici Arneud e Bugio e dal farmacista Rocchietta. Mentre erano impegnati ad estrarre le ultime vittime, a san Giacomo di Boves un’ennesima valanga fa la settima vittima. Così “la Sentinella delle Alpi” ci descrive l’episodio: “Ieri un contadino, certo Dalmazzo d’anni 30, padre di famiglia, andando ad attingere acqua nel vallone di S.Giacomo veniva miseramente travolto sotto una valanga. E’ questa la settima vittima che in tre giorni dobbiamo registrare”.

 

 

I comuni colpiti furono 27 di cui 19 nel Circondario di Cuneo e 8 in quello di Saluzzo. Nel Circondario di Saluzzo soffrirono danni i comuni di Brossasco, Crissolo, Frassino, Ostana, Paesana, Pontechianale, Sampeyre, Sanfront. Nel Circondario di Cuneo vennero interessati da valanghe e dal crollo di tetti i comuni di Acceglio, Aisone, Andonno, Boves, Canosio, Castelmagno, Cuneo, Demonte, Limone, Mojola, Montemale, Pradleves, Peveragno, S.Damiano Macra, Stroppo, Ussolo, Valdieri, Valgrana, Valloriate. I morti furono 94; il solo Comune di Frassino ne contò 71. I feriti furono 10 e i salvati 81. Oltre ai danni materiali che ammontarono secondo il comitato provinciale a lire 120900, le valanghe resero vedovi due uomini e dieci donne, e privarono del padre 19 orfani; della madre 12, di entrambi i genitori 5, in tutto 36.

I Comuni che ebbero danni alle cose furono 25: Acceglio, Aisone, Andonno, Boves, Brossasco, Canosio, Castelmagno, Crissolo, Demonte, Frassino, Limone, Moviola, Montemale, Ostana, Paesana, Peveragno, Pontechianale, Pradleves, Sampeyre, Sanfront, Stroppo, Ussolo, Valdieri, Valgrana e Valloriate. I comuni che subirono danni alle persone furono 10: Aisone, Boves, Brossasco, Frassino, Limone, Moviola, Montemale, Valdieri, Valloriate, Valgrana.

 

Appendice risarcimenti

 

“In questo lavoro (di elargizione da parte della provincia” fu di utile scorta il sistema di sussidio stato adottato pei danneggiati del terremoto d’Ischia, intorno al quale il nostro prefetto Presidente, ebbe la cortesia di procacciarci e di comunicare alla commissione un rapporto del suo collega di Napoli. Seguendo in parte le massime adottate da quel comitato di soccorso, in parte modificandole inn relazione alla minore gravità dei nostri danni ed alla somma assai minore da distribuire, la commissione si attenne al seguente sistema:separò innanzitutto i danni derivanti da infortuni personali, cioè da morti e da ferite da quelli consistenti nella perdita delle sostanze. I danneggiati da infortuni personali vennero distinti nelle tre classi: Vedove, Orfani, Feriti.

Le vedove e gli orfani furono classificati in tre categorie, tenuto conto per le vedove dell’età e della condizione economica in cui le lasciò l’infortunio subito. Gli orfani di ambo i genitori furono posti nella I categoria; nella seconda e nella terza gli orfani di solo padre o sola madre, tenuto conto della condizione economica. In via eccezionale furono ascritti insieme alle vedove di terza categoria anche due vedovi pei quali la perdita delle mogli costituisce un grave infortunio, atteso il loro stato d’infermità per essere uno sordo, l’altro affetto da grave ernia che lo rende inetto al lavoro, ed assieme ai feriti fu compreso un individuo che perdette un figlio suo adulto suo sostegno. I feriti furono divisi in due categorie , secondo la maggiore o la minore entità della ferita.

 

  1. Per ogni vedova di prima categoria sussidio per una volta tanto di lire 1000
  2. Per ogni vedova di II categoria sussidio per una volta tanto di lire 800
  3. Per ogni vedova/o di III categoria sussidio per una volta tanto lire 500
  4. Per ogni orfano di I categoria pensione annua sino alla maggiore età di lire 100
  5. Per ogni orfano di II categoria pensione annua fino alla maggiore età di lire 80
  6. Per ogni ferito sussidio una volta tanto di lire-I categoria lire  200
  7. Per ogni ferito II categoria lire 100

 

Parve qui alla commissione di poter comprendere in questa classe di sussidi una gratificazione di 200 lire che essa Vi propone di accordare ai figli di Chiapale Antonio di Valgrana per l’opera di salvataggio da essi prestata con generosità, che il Sindaco di Valgrana non esita chiamare eroica; e che la commissione segnala al Governo per un’onoreficienza.

Un'altra gratificazione di lire 100 si propone per Girando Antonio di Moviola per opera di salvataggio.

L’ing.Moschetti con il Soleri ed il Delfino vennero incaricati di effettuare un sopralluogo per determinare i provvedimenti da prendere nella ricostruzione delle due borgate della Valle Varaita: dopo aver postulato la collocazione delle stesse sulle adiacenti creste di displuvio ed aver adattato delle severe indicazioni sulla tipologia costruttiva da adottarsi, si scontrarono con quello che avevano precedentemente definito come “Cieco attaccamento alla terra dei montanari”. In conclusione non vennero costruiti paravalanghe né volte a botte normalmente all’asse del pendio come previsto, né le frazioni vennero ricostruite più in là: dopo la distribuzione dei sussidi gli abitanti di quelle montagne vennero definitivamente dimenticati.