"Io, sopravvissuta grazie al fornello"

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Emergenza a Ceresole, già 40 gli evacuati: “Sembra di stare sotto i bombardamenti”

GUIDO NOVARIA

CERESOLE REALE (Torino)
telefoni suonano a vuoto da ieri mattina. «Ci sono rimasti i cellulari fino a quando le batterie non si scaricano». La luce va e viene, il silenzio surreale è rotto soltanto dal rumore delle slavine che si staccano in continuazione. «Sembra un bombardamento, ma non capisci da dove partono i colpi»

Il sindaco Renzo Bruno Mattiet, per tutta la giornata, ha cercato di spiegare alla Prefettura che cos’è diventata Ceresole Reale - la capitale del versante torinese del Parco nazionale Gran Paradiso - sotto due metri di neve: «Siamo un paese fantasma, la gente è rimasta chiusa in casa, poi per una quarantina di persone è arrivato l'ordine di evacuare».

A Villa, la frazione a monte del grande lago artificiale, sono rimasti in due, Silvano e Loredana Rolando, marito e moglie: «Casa nostra non l’abbandoneremo mai». Gli altri, una ventina in tutto, sono stati accolti al rifugio Massimo Mila dal gestore, Mauro Maruccco, già responsabile del soccorso alpino piemontese. Ai più vecchi del paese è tornata subito in mente la valanga di mezzo secolo fa. Erano i primi di dicembre del ‘59, quando dalla montagna si staccò la slavina che finì sulle baracche del cantiere dell'impresa impegnata a costruire i canali di derivazione delle dighe dell'Azienda municipalizzata torinese. Morirono in nove, tutti operai del Sud che tornavano a casa per le feste di fine anno.

Più in alto, sulla strada per il Nivolè «cancellata» da tre metri di neve, c’è chi è sopravvissuto grazie ai fornelli del gas. «Li ho tenuti accesi durante la notte per scaldarmi, perché erano l’unica fonte di calore», racconta Emilia Oberto, 27 anni, titolare del bar–rifugio «I Chiapili». E’ rimasta isolata per quasi due giorni, chiusa nel suo locale mentre all’esterno imperversava la bufera. Sola da domenica pomeriggio, fino a quando, ieri mattina, poco dopo le 11, una squadra del soccorso alpino di Ceresole coordinata da Guido Blanchetti l’ha portata in salvo. Rivive quelle ore drammatiche: «Ho chiuso il bar domenica pomeriggio dopo che gli ultimi clienti erano andati via. Nevicava in modo impressionante e ho capito che non sarei riuscita ad andarmene dal rifugio». Così è tornata indietro, ma mancava la corrente elettrica, non c’era luce, non c’era riscaldamento: «La prima sera ho mangiato un po’ di polenta riscaldata. Poi ho acceso i fornelli e li ho mantenuti così, tutta la notte. E’ stato l’unico modo per scaldarmi». E ha fatto così anche lunedì e ieri, quando il buio ha inghiottito il suo rifugio: «E’ stata la mia salvezza. Se non fossero arrivati i ragazzi del soccorso alpino non so come sarebbe andata a finire».

Alessandra Masino, 42 anni, guida turistica e il marito Roberto Rolando Coendo, 38, titolare di una ditta di costruzioni, sono salvi per miracolo. «Ero al telefono con il proprietario di una delle case travolte dalla valanga, mi chiedeva notizie. Mio marito è uscito e si è messo a urlare. Quando sono uscita, ho visto quel muro di neve che era appoggiato al retro della nostra casa. Ma la valanga ci ha portato via un furgone, un’auto, un trattore, un escavatore: sono finiti nel lago, sotto ad almeno sei metri di neve. La nostra abitazione è stata l’unica a non essere travolta: 50 anni fa mio suocero l’aveva costruita nel posto che i vecchi del villaggio dicevano essere il più sicuro di Ceresole». Adesso sono sfollati con una decina di persone, compreso il parroco don Dario Bertone, nell’albergo «Gli scoiattoli».

Ma c'è adesso chi punta il dito sui paravalanghe sopra la chiesa, fuori uso. Valerio Bertoglio, guardaparco del Gran Paradiso: «Per due volte ho inviato una relazione ai miei superiori, denunciando la situazione dei paravalanghe attorno al casotto delle Cialme dove presto servizio. Nessuno si è mosso e questi sono i risultati». Tre case spazzate via, la strada provinciale inutilizzabile, il cimitero inghiottito da una montagna di neve.