una slavina che mancava da due anni
Il blocco dei collegamenti si è allentato solo nella serata di ieri
MERANO. E' durato 24 ore il totale isolamento di Solda causato da una valanga
abbattutasi domenica pomeriggio sulla strada che la unisce a Gomagoi. Una slavina
che ha provocato disagi limitati e che, fortunatamente, non ha toccato né
persone né abitazioni. Alle 16 di domenica il primo distacco di parte
della massa nevosa, tre ore dopo il cedimento totale che ha provocato un fronte
alto 4/5 metri e lungo parecchie decine di metri ad ostruire totalmente la strada.
Una valanga nota, quella caduta in località Unterthurn a Solda di Fuori,
anche se mancava all'...appello da due anni. Fra i conoscitori della zona e
dei movimenti nevosi, invece, meraviglia l'anticipo con cui è scesa quest'anno,
visto che normalmente lo smottamento di neve in quel punto avveniva verso marzo-aprile.
Le abbondanti precipitazioni unite agli sbalzi termici notevoli di queste ultime
settimane, hanno evidentemente reso instabile lo strato di neve che attorno
a Solda è nell'ordine dei due metri determinando l'anticipata caduta
della valanga, scaricatasi in un canalone brullo che si affaccia sulla strada
dopo i primi due ripidi tornanti.
A Solda, l'interruzione dei collegamenti stradali non ha creato particolari
problemi. Il ricambio di ospiti in alberghi e pensioni era già avvenuto
nella giornata di sabato e il cielo imbronciato aveva tenuto lontano dalle piste
i tradizionali sciatori della domenica per cui ben pochi sono rimasti forzatamente
intrappolati o non hanno potuto rientrare ai piedi dell'Ortles.
«In simili evenienze - spiegano all'ufficio turistico di Solda - un eventuale
ospite rimasto bloccato gode di un supplemento di vacanza spesato sino alla
riapertura dei collegamenti. A Solda, le settimane bianche sono già partite
alla grande e i 3.500 posti letto per turisti sono per due terzi occupati».
Sul fronte della valanga, sin dal mattino ieri si sono mosse ruspe e fresatrici
e nelle prime ore del pomeriggio, seppur fra due vertiginosi muri di neve, il
collegamento era di nuovo garantito anche se non ufficialmente.
MERANO
mercoledì 10 gennaio 2001
Val Senales. La morte del giovane snowboarder travolto da una slavina mentre
sciava fuoripista
Leggerezza pagata a caro prezzo
I due turisti avevano ignorato ogni invito alla prudenza
MASO CORTO. E' ritornato il sole, ieri, a rallegrare il popolo dello sci ma
in Val Senales più che i capricci climatici nelle discussioni teneva
banco la disgrazia a dir poco assurda che lunedì pomeriggio è
costata la vita ad un giovane turista tedesco e che ha mandato all'ospedale
il suo quasi coetaneo amico americano, a sua volta residente in Germania, travolti
da una valanga da loro provocata.
Intanto nella giornata di ieri è stato dimesso dall'ospedale «Tappeiner»
dov'era stato ricoverato, Andy Fuller, il ragazzo americano rimasto coinvolto
nella caduta della valanga e sempre nella tarda serata di ieri è stato
ascoltato dai carabinieri di Certosa che indagano sull'accaduto. I due giovani,
Alexander Paul Heck e Andy Fuller erano arrivati durante la mattinata da Garmisch
e prima ancora di trovare una sistemazione per la notte avevano calzato rispettivamente
snowboard e sci ai piedi. Quindi la risalita verso Malga Lazaun e l'incredibile
decisione di abbandonare le piste battute per affrontare un canalone scosceso
e la neve fresca. Una discesa impossibile, nelle condizioni climatiche di questi
giorni, tant'è che i due hanno provocato la valanga che ha ucciso per
politrauma Alexander Heck e ferito l'americano.
I soccorsi sono arrivati con la massima tempestività, coordinati dalla
guardia di finanza e dai carabinieri di Certosa con intervento di unità
cinofile, Alpenverein e Corpo nazionale soccorso alpino.
La disgrazia, seguita nelle operazioni di recupero dai numerosi sciatori che
frequentano Maso Corto, ha suscitato profonda impressione anche se non sono
mancate parole di censura sul comportamento dei due giovani amici. Il pericolo
di valanghe non era assolutamente da sottovalutare, il tempo non prometteva
niente di buono e le precipitazioni dei giorni precedenti avevano accumulato
ulteriore neve su strati precedenti ancora instabili, tant'è che il livello
di pericolo di valanghe era quasi al massimo. Appare inspiegabile, pertanto,
la scelta di tuffarsi in un fuoripista per di più con quelle pendenze
vertiginose in un canalone che si è purtroppo rivelato una trappola mortale.
v.f.
BOLZANO. In tutto l'Alto Adige, dopo giorni di pioggia, è tornato a
splendere il sole. Le temperature in quota si sono abbassate favorendo il consolidamento
degli strati nevosi. Il pericolo valanghe resta comunque elevato su tutti i
pendii esposti e soprattutto nella zona occidentale della provincia. Lo sci
fuori pista viene sconsigliato per evitare che si ripeta la tragedia di Senales.
Lungo la parte centrale ed orientale della cresta di confine, nel gruppo dell'Ortles,
del Cevedale e nell'alta Val d'Ultimo il pericolo di valanghe è forte
e marcato e rimane di grado «4». I pericoli maggiori si possono
trovare su tutti i pendii ripidi, di tutte le esposizioni, sopra i 1900 metri.
Le vie di comunicazione esposte, gli impianti e le piste da sci potrebbero essere
interessate, infatti, da valanghe spontanee. «Le misure di precauzione
- spiega il dottor Francesco Sommavilla, dirigente del Centro antivalanghe di
Arabba, sono assolutamente necessarie». Sul resto del territorio il pericolo
di valanghe a lastroni è marcato e di grado «3». I punti
più pericolosi rimangono i pendii ripidi in prossimità delle creste
ed i pendii carichi di neve trasportata dal vento ed esposti da ovest a nord
e sopra i duemila metri di quota. «Sotto i duemila metri - spiega Sommavilla
- la pioggia caduta sulla massa nevosa ha compattato di fatto gli strati rendendo
meno probabile la caduta di valanghe. Diversa la situazione alle quote più
alte, dove la neve caduta nelle ultime ore, ha provocato valanghe che noi chiamiano
a "lastroni" o di superficie. Quando parliamo di livello «3»
- continua Sommavilla - intendiamo dire che il distacco di masse nevose è
possibile anche con un debole sovraccarico sui pendii ripidi e che in alcune
situazioni sono possibili valanghe spontanee di media grandezza e, in singoli
casi, anche di grosse dimensioni. Il livello «4» è ritenuto
forte. Il distacco in questi casi è possibile anche in presenza di un
sovraccarico debole». Il dirigente del Centro antivalanghe di Arabba lancia
un appello a tutti gli appassionati di fuoripista. «Nel caso in cui il
pericolo di valanghe sia 3 o 4, consiglio i fanatici di lasciar stare, assolutamente,
il fuoripista. Perdere una settimana in fondo non è niente. Hanno tutta
la vita davanti per potersi divertire. In questi giorni l'azzardo e la superficialità
possono costare. Eccome». Cosa consiglia agli irriducibili? «Lo
so, non c'è una legge che vieta di sciare, ma li prego di non andare
fuoripista, di seguire le indicazioni e di leggere i bollettini delle valanghe.
Evitare le disgrazie, oggi, si può. Consiglio innanzitutto di scegliere
un percorso meno pericoloso di altri, di non muoversi mai da soli, di portare
con sé una pala pieghevole e la sonda cercapersone oltre, ovviamente,
all'Arva. Una sorta di apparecchio ricetrasmittente che si allaccia al torace
e che emette dei segnali. In caso di necessità, se per sfortuna, lo scialpinista
dovesse rimanere sotto una valanga, l'Arva può evidenziare la sua posizione
ai soccorritori e salvargli così la vita. A volte bastano pochi minuti».
Negli ultimi anni il pericolo di valanghe è aumentato? «Assolutamente
no. Direi che è sempre lo stesso. Ma oggi siamo più informati,
abbiamo le tecnologie e possiamo evitare il peggio. Mi sento di dire con tranquillità
che il rischio non è più accettabile. Certo, ne vedo di tutti
i colori e sento con le mie orecchie la gente fare spallucce in caso di pericolo
perché tanto c'è il soccorso alpino. Certo, il Soccorso c'è
e lavora bene, ma ricordatevi - conclude - recupera anche dei morti».
di Ezio Danieli
BOLZANO. Uno studio dell'Università di Vienna sul futuro meteorologico delle Alpi prevede che fra 10 anni non nevicherà più, in maniera abbondante, al di sotto dei 1.500 metri di quota. L'esito di questa ricerca venne presentato poco più di un anno fa. Gli operatori turistici nostrani, ed in particolare gli esercenti degli impianti a fune, si misero a ridere. Ora - in mancanza di neve proprio sotto i 1700 metri e con temperature che non consentono certo di far funzionare gli impianti per l'innevamento artificiale - qualche pensierino a quello studio viene fatto. Fino alla scorsa stagione invernale le maggiori preoccupazioni, in mancanza di neve naturale, erano causate dalla penuria d'acqua nei bacini di raccolta. Quest'anno invece i bacini sono stracolmi. Il problema è che i «cannoni» sono fermi: impossibile «sparare» perché la temperatura, salvo poche eccezioni notturne, non è ancora scesa sotto lo zero che è il limite minimo per azionare questi impianti. L'uso dei «cannoni» continua ad essere al centro di vivaci polemiche. È della scorsa stagione il grido di allarme lanciato da Sos Dolomites e da Cipra Italia sui danni causati dal prelievo massiccio d'acqua e dall'uso di additivi per avere il manto bianco. «In Alto Adige - spiegano gli ambientalisti - è in vigore una delibera della giunta provinciale che stabilisce quanta acqua si può prelevare per la produzione di neve artificiale; in più bisogna avere un'apposita concessione che viene rilasciata solo in presenza di serbatoi o bacini artificiali realizzati per far funzionare i cannoni. In provincia di Bolzano - a tutt'oggi - gli additivi non vengono usati». Le «armi» della polemica sono pronte. Per ora resta il «calumet» della pace, certo non riposto sotto la neve. E infatti arrivano, puntuali, le lamentele e le suppliche: «Bisogna trattare l'industria dello sci come l'agricoltura, perché entrambe danno quel reddito che evita lo spopolamento delle valli e delle campagne». In parole povere, dateci un po' di soldi «visto e considerato che sia la Provincia di Bolzano che quella di Trento introitano parecchio proprio per merito degli impianti a fune e delle piste da sci».
Passo Gardena? Manca l'esplosivo
La strada interrotta nei giorni scorsi rimane ancora chiusa
di Massimiliano Bona
SELVA GARDENA. I timori espressi dagli addetti alla protezione valanghe della
Provincia erano più che fondati: oltre alla slavina caduta nei giorni
scorsi a Plan de Frea, nel comune di Selva, sono state rinvenute ieri mattina
nel corso di un sopralluogo aereo altre cinque valanghe che hanno invaso la
strada che porta a Passo Gardena. L'altra notizia di rilievo concerne le operazioni
di sgombero, che non potranno essere effettuate con l'ausilio di materiale esplosivo.
«La Airway di Lasa - conferma Oberschmied dell'ufficio idrografico della
Provincia - non ha ancora ottenuto il rinnovo della concessione da parte del
ministero e pertanto dovranno essere impiegati gli operai del servizio provinciale».
La concessione in questione quando è scaduta?
«Il 31 dicembre 2000. Il rinnovo è atteso a breve termine, ma in
questa circostanza dovremo fare altrimenti. Sicuramente con l'esplosivo sarebbe
stato possibile riaprire la strada più rapidamente».
Cosa useranno gli operai al posto dell'esplosivo?
«Frese e probabilmente anche una pachera».
In che condizioni avete trovato la strada che porta a passo Gardena?
«La neve dei giorni scorsi ha prodotto altre cinque slavine, più
o meno delle stesse dimensioni della prima, che hanno occupato la strada per
trenta-quaranta metri ciascuna. L'altezza varia dai due ai quattro metri. Abbiamo
dunque avuto ragione, nei giorni scorsi, a tenere chiusa la strada che porta
al Passo. Il rischio, del resto, era molto elevato».
Per ripristinare il collegamento tra Val Gardena e Val Badia sarà necessario
attendere ancora tutta la settimana?
«No, non credo. Ma sul tempo esatto non posso pronunciarmi».
Probabilmente un paio di giornate di lavoro dovrebbero essere sufficienti per
riportare la situazione vicina alla norma ma nessuno si è preso comunque
la responsabilità di formulare previsioni precise, anche perchè
le polemiche in corso tra una parte dei gardenesi ed una parte dei badioti sulla
riapertura del Passo hanno contribuito ad acuire le incomprensioni. Ad intervento
effettuato si tornerà inevitabilmente a parlare di paravalanghe: uno
dalla parte di Corvara e l'altro sul territorio comunale di Selva. E le polemiche
ricominceranno.
VIPITENO. L'esigenza di avere a disposizione unità cinofile operative
per la ricerca su valanga non è una prerogativa della zona alpina. Ne
sono ben consapevoli i coordinatori delle squadre di protezione civile della
zona appenninica del centro-sud che ad ogni stagione invernale si trovano a
fare i conti con importanti precipitazioni e con il conseguente elevato pericolo
di valanghe. La necessità di incrementare in queste zone il numero dei
cani abilitati per l'intervento su valanghe è particolarmente sentita
dai responsabili del gruppo unità cinofile da soccorso della Croce Rossa
che a tale proposito giorni fa hanno organizzato uno stage informativo e dimostrativo
per cani e conduttori. Unità cinofile dell'Emilia Romagna e del Veneto
si sono date appuntamento sulle nevi dei 2000 metri di passo Giovo dove, sotto
l'attenta regia del referente di specialità Renato Bordon, sono stati
spiegati e messi in pratica gli esercizi preliminari per la preparazione del
cane alla ricerca di persone sepolte nella neve. Con l'ausilio di due cuccioloni
in addestramento presso il gruppo altoatesino, è stata illustrata la
fase preliminare consistente nel convincere ed abituare il cane ad entrare fiducioso
in una buca. La dimostrazione di tale esercizio è stata eseguita a scopo
puramente didattico in quanto le unità cinofile presenti, già
operative per ricerca su macerie e superficie, avevano già affrontato
e superato in passato tale fase. Per gradi di difficoltà successivi,
i cani sono stati dapprima chiamati ad individuare la presenza sotto la neve
del proprio conduttore, quindi a ripetere l'esercizio nei confronti del conduttore
sepolto insieme con un estraneo, ed infine a cercare il solo estraneo. Si è
trattato di una serie d'esercizi propedeutici alla formazione del cane da valanga
che tutte le unità presenti hanno superato brillantemente. Sicuramente
molti di loro proseguiranno nella fase addestrativa su valanga, seguiti da istruttori
qualificati cinofili della Croce Rossa.
BOLZANO
giovedì 11 gennaio 2001
Valanga killer in quota, altro indagato
Per la tragedia della val Senales il superstite finisce sotto processo
di Mario Bertoldi
BOLZANO. La magistratura ha deciso di proseguire con la linea dura nei confronti
degli irresponsabili che provocano valanghe. Dopo il caso Kaserer, ora è
finito sul registro degli indagati anche l'escursionista americano che l'altro
giorno in val Senales si è salvato per un soffio.
A differenza di Kuno Kaserer (la guida alpina di Parcines finita nei guai per
un'altra slavina staccatasi in val Senales il 19 novembre scorso), Andy Fuller
non è stato arrestato. Le manette non sono scattate probabilmente solo
per le condizioni del giovane americano, ricoverato all'ospedale sotto shock
dopo la tragedia che ha portato a morire il compagno di escursione. L'inchiesta
sulla slavina dell'altro giorno in val Senales è curata dal sostituto
procuratore Markus Mayr che non ha avuto alcun dubbio sulla necessità
di procedere nei confronti del giovane statunitense (ma domiciliato in Germania)
per valanga colposa ed omicidio colposo. Il giovane è dunque chiamato
in causa quale responsabile indiretto anche della morte dell'amico, Alexander
Paul Heck di 23 anni, rimasto ucciso sotto la massa di neve. Le prime indicazioni
giunte al magistrato sembrano lasciare poco spazio alla difesa. La tragedia
della val Senales avrebbe potuto essere agevolmente evitata se solo i due escursionisti
avessero agito con un pizzico di prudenza, evitando di ignorare tutti i divieti
imposti proprio per l'elevato pericolo di slavine. In effetti il giorno della
tragedia la situazione era considerata ad alto rischio a seguito delle abbondanti
nevicate registrate nei giorni precedenti e la temperatura che aveva fatto segnare
un notevole rialzo nei valori medi.
Al sostituto procuratore Markus Mayr gli esperti hanno delineato una situazione
ad alto pericolo che sarebbe stata adeguatamente segnalata ma che fu tragicamente
sottovalutata dai due amanti dell'alta montagna. Addirittura alcune piste erano
state chiuse per pericolo di valanghe a lastroni. Alexander Paul Heck e Andy
Fuller non avrebbero però resistito all'idea di avventurarsi sulla neve
fresca con lo snowboard, buttandosi all'avventura lungo un pericolosissimo canalone.
Un comportamento del tutto irresponsabile - hanno rilevato gli esperti - che
avrebbe potuto avere conseguenze addirittura più gravi. Il passaggio
dei due snowboarder avrebbe infatti potuto provocare una slavina in grado di
raggiungere la zona di Maso Corto con conseguenze imprevedibili. Erano circa
le 15 quando i due, arrivati alla stazione a monte della seggiovia, anzichè
avviarsi lungo le tracce battute ammesse alla discesa, si sono allontanati in
direzione opposta, spostandosi per alcune centinaia di metri, sino ad affacciarsi
sil ripidissimo canalone della morte.
Come nel caso di Kuno Kaserer è molto probabile che il processo sia caratterizzato
da una serie di valutazioni tecniche sul comportamento dei due escursionisti
in relazione proprio alla situazione di elevato pericolo regolarmente segnalata.
Il giovane escursionista indagato sarà interrogato nei prossimi giorni.
v.f.
BOLZANO. Due tecnici della Provincia - che ieri pomeriggio si trovavano a Passo Giovo per effettuare misurazioni sulle condizioni della neve - si sono salvati per miracolo dopo essere stati travolti da una valanga. Si trovavo al Passo e stavano finendo di lavorare quando, verso le cinque del pomeriggio, un movimento brusco provocato forse dagli scarponi che avevano ai piedi o dagli stessi sci, ha messo in movimento una grossa massa di neve che li ha investiti in pieno. «Il fatto - spiega Alberto Covi del Soccorso alpino del Cai di Vipiteno - si è verificato non lontano dal Passo e vicino al luogo dove proprio domenica scorsa era caduta una slavina che aveva bloccato la strada. Qualcuno, ieri pomeriggio, ha visto la valanga staccarsi ed ha dato subito l'allarme al 118». Sono partite immediatamente le squadre del Soccorso alpino del Cai di Vipiteno con due cani da valanga, della Guardia di Finanza con altri due cani da valanga e dell'Alpenverein. «Eravamo a metà strada - continua Covi - quando ci è arrivata una telefonata del 118 che ci avvertiva che i due tecnici della Provincia erano riusciti a liberarsi dalla neve. Molto meglio così. Vista l'ora tarda, se non si fossero salvati da soli, avremmo faticato molto a tirarli fuori». Ma è possibile che tutto questo possa accadere a due esperti che fanno del rilevamento della neve il loro mestiere? «Certo, quando il manto nevoso è così instabile tutto può accadere. L'evento eccezionale non si può mai escludere». Il Servizio di prevenzione valanghe della Provincia lavora con l'ausilio di una fitta rete di stazioni fisse chiamate anche "campi neve" (ce ne sono a Passo Giovo, a Solda, in Valle di Curon, Val Passiria, Valle Aurina e Piz La Villa) che effettuano grazie al lavoro di tecnici esperti e con l'aiuto di speciali sensori ad ultrasuoni un continuo monitoraggio dello stato della neve e del vento. I dati arrivano in tempo reale all'Ufficio idrografico che li elabora e li trasmette attraverso segreteria telefonica e fax (0471/271177 o 270555) ed Internet (www.provincia.bz.it/hydro).
BOLZANO
giovedì 11 gennaio 2001
Il pericolo resta molto alto
Mezzi spartineve al lavoro: oggi riapre Passo Gardena
v.f.
BOLZANO. Sulle montagne dell'Alto Adige il pericolo di valanghe a lastroni
resta "marcato grado 3".
I punti rischiosi - secondo i dati forniti dal Servizio di prevenzione valanghe
dell'Ufficio idrografico della Provincia - sono i pendii ripidi che si trovano
in prossimità di creste di tutte le esposizioni, nonché i pendii
caricati con neve "ventata" esposti da ovest a nord fino a sudest
oltre i duemila metri di quota. Anche per questo le escursioni sci alpinistiche
e le discese fuori dalle piste richiedono una prudente scelta dei percorsi e
una buona conoscenza delle valanghe con capacità di valutazione locale.
Già con un debole sovraccarico (singola persona) si può provocare
- infatti - il distacco di una valanga a lastroni. La neve caduta nei giorni
scorsi si è ulteriormente assestata e moderatamente consolidata. «Con
i forti venti dell'ultimo fine settimana oltre i duemila metri si sono formati
innumerevoli accumuli eolici - spiega Michela Munari, direttrice del Servizio
di prevenzione valanghe - che hanno creato uno scarso legame con il manto sottostante
e costituiscono il principale pericolo per il distacco di una valanga a lastroni.
Sopra i duemila metri di quota l'altezza della neve è sopra la media
del periodo mentre più in basso la pioggia ha fortemente ridotto lo spessore
della vecchia neve. Ieri i nostri elicotteri si sono alzati in volo per effettuare
un sopralluogo. A Solda, in quota, si sono accumulati più di due metri
di neve e a Fontana Bianca, in fondo alla Val d'Utimo a tremila metri i nostri
esperti hanno rilevato addirittura sei metri di neve: situazioni insolite per
questo periodo». Ma come mai il rischio di valanghe resta così
elevato? «In pratica sta succedendo che grosse quantità di neve
caduta da poco si siano depositate su uno strato vecchio senza però legare
bene. E la possibilità che si stacchino dei lastroni si fa sempre più
concreta».
Passo Gardena. L'unica strada a livello provinciale ad essere ancora interrotta
è quella di passo Gardena, sulla quale ieri hanno lavorato gli operai
del locale servizio strade, che fanno capo al geometra Mario Erspamer. «Dopo
alcuni giorni di attesa forzata - spiega Erspamer - siamo riusciti ad accedere
con i nostri mezzi alla strada che porta al passo e tutto il tratto è
stato quasi integralmente sgombrato dalle cinque slavine scese nella zona di
Plan de Frea. La situazione fino a poche ore prima era piuttosto critica anche
dalla parte di Corvara, dove proprio ieri è stata riaperta la strada.
Non appena avremo ultimato le operazioni di sgombero sarà nostra premura
informare il sindaco di Selva Gardena Roland Demetz e chiedere l'apertura, che
dovrebbe avvenire entro la giornata odierna. Le previsioni meteo sono tra l'altro
incoraggianti almeno fino a sabato».
La viabilità. Sono diverse le strade della nostra provincia ancora chiuse
per motivi di sicurezza. Oltre allo Stelvio, al Pennes, al Rombo, al passo delle
Erbe, allo Stalle che osservano la chiusura invernale, non sono transitabili
per pericolo valanghe nemmeno il Passo Giovo (chiuso al chilometro 41), il Passo
Pordoi, il Passo Gardena (dal bivio Miramonti), il passo Falzarego chiuso dal
versante di Caprile, il Passo Fedaia ed il Passo Valparola. Non è transitabile,
infine, anche la provinciale 163 di San Pietro di Funes dal chilometro 6,5 mentre
in Val Pusteria, all'altezza del Comune di Braies, la comunale che da Ponticello
porta a Prato Piazza è stata chiusa per il pericolo di valanghe. La Centrale
viabilità della Provincia fa presente agli automobilisti che tutte le
altre vie di montagna ed i passi sono percorribili sono con gomme invernali
oppure catene e la Polstrada ricorda comunque prudenza e rispetto dei limiti
di velocità. Possibili rallentamenti lungo la statale 42 della Mendola
dopo il bivio Merano-Mendola, al chilometro 242 per permettere agli operai di
posare delle tubature. In val d'Ega (dal chilometro 3 al 4) è previsto
un senso unico alternato dalle ore 8 della mattina alle 12 e dalle 13 alle 17
per permettere ai tecnici di consolidare le rocce. In Val d'Isarco è
segnalato un senso unico alternato in Val di Vizze (prima del lago) per lavori
in corso, dopo Telves di sotto. Nel Comune di Chiusa è segnalata una
deviazione per Pardello per caduta massi.
n.m.
CORTINA. A Cortina resta alto il pericolo valanghe.
Un'altra slavina, dopo quella di non eccezionale portata caduta domenica alle
17, è precipitata alle due della notte tra lunedì e martedì
sul Canalone in Tofana. Stavolta la valanga (che presentava un fronte di circa
50 metri e che s'è formata a quota 2400) ha portato con sé, oltre
alla neve, anche qualche spuntone di roccia. La neve ha invaso in toto la pista,
che comunque era già stata chiusa al pubblico il giorno precedente, proprio
per il pericolo incombente di movimento neve. Il boato di questa seconda slavina
è stato udito anche a valle. Ora, per porre rimedio ad una situazione
di grave rischio, che sta bloccando per di più il naturale svolgimento
della stagione sciistica, i responsabili della Società Tofana e Marmolada
hanno chiesto al commissariato di Cortina l'autorizzazione a rimuovere artificialmente
la neve pericolante. Una ditta specializzata, tramite l'uso di micro cariche
esplosive lanciate da un elicottero che si avvicinerà il più possibile
ai costoni, provocherà artificialmente la valanga. Un'operazione che
forse si svolgerà già quest'oggi. Anche ieri sull'area delle Tofane
sono rimaste aperte solo due piste, i Labirinti e la Olimpia; le altre sono
chiuse per il pericolo di valanghe; un rischio calcolato dal centro di Arabba
nel grado 3 (marcato) su una scala che ha un massimo di 5.
Il racconto degli scampati della Valtellina. Per ore si è temuta la tragedia
dal nostro inviato ENRICO BONERANDI
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S. CATERINA VALFURVA - "Via via, correte, buttatevi a sinistra",
urla a pieni polmoni Angelo, l'operaio dello skilift, sporgendosi dalla finestra.
Grida di salvarsi agli sciatori che hanno appena iniziato la discesa, e nello
stesso tempo pensa che fra poco morirà: c'è un'enorme ammasso
di neve che gli sta piovendo addosso dalla cresta su un cima. Fuggono i turisti
sugli sci, lui rimane lì impotente ad aspettare la fine. E invece quel
diluvio bianco non vuole la sua vita. Piega improvvisamente di lato, si disperde
sulla pista, lambisce qualche sciatore e si arresta.
Metri e metri di neve sulla pista Primavera di Santa Caterina Valfurva ieri
alle dieci meno un quarto del mattino: fosse accaduto un paio d'ore più
tardi, o qualche giorno fa, col pienone natalizio, avrebbe potuto essere una
strage. E invece c'è un solo ferito: Claudia Rossini, una ragazza di
23 anni di Marnate, un paese vicino a Busto Arsizio, con un braccio e un dente
rotto. Per ore si è temuto che sotto quella spessa coltre farinosa ci
fossero vittime. Si è scavato, tastato con le sonde, si è passati
e ripassati con i cani: niente, un miracolo. L'angoscia è tornata all'una
di pomeriggio, quando dallo Sport Hotel hanno segnalato la scomparsa di due
clienti. Allarme rientrato dopo un'ora, quando i due sciatori sono tornati in
albergo: erano andati su altre piste senza avvertire.
Questa volta non è la vendetta della montagna per un gesto incosciente
o temerario, un fuoripista proibito che castiga l'imprudente. No, ieri a Santa
Caterina, 10 chilometri da Bormio, la slavina è scesa sulle piste, su
un luogo in qualche modo "garantito", sorvegliato e protetto. "Un
evento eccezionale, che non accadeva da almeno trent'anni", dicono quasi
in coro i maestri di sci, che si sono prodigati per ore insieme agli uomini
del soccorso alpino. C'è preoccupazione per questa stagione difficile:
prima la neve, poi tanta pioggia, quindi ancora tantissima neve. Il termometro
che va su e giù, con escursioni quasi impensabili: 25 gradi in una settimana,
da meno 18 a più 7 e viceversa. La reazione della gente lascia allibiti:
è caduta una slavina in pista? Pazienza. Il gruppo di Claudia Rossini,
sette persone che hanno visto la morte in faccia, dopo tre ore erano già
sugli sci, con le gambe un po' tremanti ma ben decisi a non "perdere"
del tutto lo splendido pomeriggio di sole e cielo terso.
La dinamica della slavina la spiega il capo del soccorso alpino della provincia
di Sondrio, Giuseppe Spagnolo: "Dalla Cresta Sobretta, quota 2800, è
venuta giù una massa di neve non troppo grande, una cosa che può
capitare dopo tanta pioggia. Il fatto eccezionale è che si è innescata
una reazione sulla montagna adiacente, con una slavina laterale, fino alla Plaghera.
Una zona sicura, dove non succede mai niente. La massa ha invaso la pista Gavia,
che era chiusa, ha attraversato l'impianto di risalita e poi ha piegato a sinistra,
esaurendosi lungo l'imbocco della pista Primavera".
Fosse accaduto a Natale? "Meglio non pensarci".
Spagnolo racconta che in quella zona morì dieci anni fa uno sciatore,
che però aveva provocato lui stesso la valanga con un fuoripista. Altrimenti,
pericoli non ce ne dovrebbero essere. "Con il Gazex, un cannone a gas,
la notte tiriamo giù gli accumuli di neve a rischio. Le nostre piste
sono sempre bonificate, c'è una mappa aggiornata delle valanghe".
Invece si è sfiorata la strage.
Commentano i maestri di sci: "Siamo in montagna, per sciare ci vogliono
le discese e le valanghe sono sempre possibili. Ma non si va più al mare
perché c'è il rischio di affogare, non si guida più perché
ci sono incidenti sulle strade?".
Lo stesso pensa un gruppo di 50 persone arrivate da Olbia: "Un po' di angoscia
ce l'abbiamo. Abbiamo dovuto fare la conta per vedere se nessuno di noi fosse
rimasto sotto. Ma poi abbiamo sciato e rimarremo qui fino al termine della vacanza".
Claudia, la ragazza ferita, un braccio ingessato e tanta rabbia perché
la sua "settimana bianca" è rovinata, dice: "Sono una
ex-agonista di sci, mi sono già rotta una gamba a 14 anni facendo il
super-g. La montagna è montagna: se la ami, non ti fa paura". Il
padre Vittorio, piccolo industriale, concorda e confessa che già una
volta, in Trentino, è scampato a una slavina. Il racconto dell'avventura
del mattino lo fa in tutta tranquillità: "Una nuvola grigia ci veniva
addosso, quasi senza far rumore. Quello dello skilift gridava e noi giù,
come schegge. Claudia è stata sollevata dal soffio della slavina, l'ho
vista rotolare per settanta metri. Poi si è rialzata e si è riparata
dietro la baita.".
LA REPUBBLICA
Un'immensa massa di neve, con un fronte di 300 metri
si è abbattuta su una pista di Santa Caterina
Doppia slavina in Valfurva
tanta paura, nessun ferito
Cinque sciatori, rimasti "sepolti" solo fino alla cintola,
sono riusciti a liberarsi e a mettersi in salvo
SONDRIO - Una doppia slavina si è abbattuta nella tarda mattinata di oggi sulla località di Plaghera a Santa Caterina Valfurva, a quota 2.300 metri: si tratta di un'area vicina poco distante da Bormio, in provincia di Sondrio. Un gruppetto di cinque sciatori, che si trovavano nella zona, sono stati raggiunti dalla neve e sommersi fino alla cintola, ma non hanno riportato lesioni: sono riusciti a uscire da soli dalla neve. Anche un maestro di sci, presente al momento della slavina, ha raccontato di non aver visto nessuno in difficoltà. Il soccorso alpino ha comunque deciso di compiere un secondo sopralluogo, per escludere definitivamente la presenza di persone rimaste sepolte.
Tutto è successo poco dopo le 11, quando la prima slavina (seguita a
ruota dalla seconda) si è staccata a quota
2.800 metri ed è scesa fino a 2.100, con un fronte frastagliato di circa
300 metri. La parte di pista da sci interessata è di circa 80 metri:
la neve ha raggiunto cumuli fino a 10 metri di altezza. Del resto, oggi, su
tutta la Valtellina è tornato a splendere il sole e le temperature si
sono alzate, favorendo il rischio di valanghe e slavine.
Ma torniamo all'episodio di oggi. "Mai visto una cosa del genere. Dalla montagna si sono staccati due enormi masse di neve che hanno investito altrettante piste da sci e solo per fortuna non si contano feriti": così ha raccontato Giuseppe Spagnolo, responsabile del soccorso alpino della provincia di Sondrio. Secondo quanto riferito dai testimoni, una delle due slavine ha un fronte di almeno 300 metri, l'altra di 70. La prima a staccarsi è stata quella più consistente, le cui vibrazioni hanno poi provocato la seconda.
La massa nevosa è precipitata a valle seguendo un percorso "a serpentina", invadendo due piste da sci e travolgendo un gruppetto di almeno cinque sciatori; per fortuna l'onda d'urto li ha sospinti fuori dal raggio d'azione della valanga. Secondo i tecnici del soccorso alpino, è una delle più grosse slavine che si sono registrate negli ultimi anni in Valfurva.
LA REPUBBLICA (9 gennaio 2001