Dal Newsgroup it.sport.montagna

A proposito della discussione di qualche giorno fa sull'utilita' dell'arva. Ieri c'e' stato un incidente dalle mie parti: M. Ruioch in Val dei Mocheni. Un travolto, senza arva!!!!! E' stato trovato dopo 2 ore, da un cane dell'unita' cinofila, in maniche corte sotto 2 metri di neve. E' morto in ospedale dopo qualche ora. Non so se con l'arva si sarebbe salvato. Di sicuro sarebbe stato estratto molto prima. Il bollettino dava pericolo 3, le condizioni erano effettivamente pericolose. Io personalmente ho salito un itinerario per bosco e cresta, stando molto in campana. Dalla cima, con il binocolo, ho visto tracce su itinerari assurdi per le condizioni. Ho l'impressione che tra gli sci-alpinisti ci sia molta faciloneria.

TRENTO lunedì 12 febbraio 2001,

Un grido disperato, sepolto dalla valanga
Andrea Morelli, 40 anni, è morto ieri sera
Salvi i due sci alpinisti che lo seguivano
Val dei Mocheni La tragedia ieri sopra Palù


TRENTO. «Fermi, state fermi». Queste le ultime parole gridate da Andrea Morelli, 40 anni di Trento, poco prima che la valanga lo investisse. Un fronte di oltre 100 metri lo ha travolto, trascindandolo per 150 metri lungo il pendio del monte Ruioch, sopra Palù del Fersina, in val dei Mocheni. Morelli è rimasto sotto un metro di neve per circa 2 ore. Quando i soccorritori lo hanno trovato era in arresto cardiaco: 25 gradi la sua temperatura corporea. I medici del Santa Chiara hanno tentato l'impossibile ma il cuore non ha retto. Poco prima delle 22 Andrea Morelli è morto.
La giornata di Andrea è cominciata presto. Sveglia all'alba e salita in auto verso la val dei Mocheni, insieme all'amico Alberto Bertocchi, 27 anni, studente universitario di Trento. Sci ai piedi, i due hanno cominciato la salita verso il monte Rujoch, sulla catena del Lagorai. A loro si è presto unito un altro scialpinista, pure lui impegnato su quello stesso pendio. Verso mezzogiorno, i tre stanno per effettuare uno scollinamento. Il pendio si fa ripido, la zona presenta qualche rischio: «Procediamo uno alla volta» - concordano i tre, operazione tipica sulla neve, quando si sta per affrontare un tratto di salita particolarmente a rischio. Andrea Morelli è in testa al gruppo. Subito si rende conto che la neve sotto gli sci non tiene: «Fermi, state fermi» - grida ai compagni che lo osservano qualche metro dietro. In quello stesso istante la neve gli crolla sotto gli sci. Una grossa valanga si stacca dal pendio e lo trascina verso valle. I compagni di salita, però, sono dall'altra parte della cresta. L'unica cosa che vedono è il mezzo busto di Andrea scomparire nel nulla.
Alberto e l'altro alpinista si precipitano sulla zona del distacco. Chiamano l'amico: «Andrea, Andrea...». Nessuna risposta. Allora pensano al cellulare. Alberto compone il numero di Andrea. Una, due, tre volte. Ma il cellulare squilla sempre a vuoto. Nè Andrea nè Alberto indossano l'Arva, l'apparecchio che consente di rilevare la presenza di un corpo sotto la neve. Ad Alberto viene un'idea. Col suo cellulare chiama a casa il suo migliore amico - Luca: «Continua a chiamare questo numero (quello di Andrea, ndr), forse sentirò gli squilli del telefono e capirò esattamente dove si trova» - gli dice Alberto. Ma sotto un metro di neve non si sente nulla.
A questo punto, ad Alberto, non resta che chiamare il 115. Verso le 12.30 scatta l'allarme alla centrale operativa dei vigili del fuoco di Trento. In pochi minuti l'elicottero di Trentino Emergenza - con il medico rianimatore a bordo - giunge sul luogo della valanga. Dopo pochi minuti arrivano sul posto anche gli uomini del soccorso alpino di Pergine, Levico e Borgo, insieme ai vigili del fuoco volontari di Palù ed a quattro unità cinofile del soccorso alpino provinciale. Le ricerche durano due ore. Andrea viene ritrovato semi-assiderato. L'alpinista viene caricato sull'elicottero e trasportato al Santa Chiara, dove arriva poco dopo le 15 in condizioni disperate. Dopo le prime cure, la temperatura corporea di Andrea Morelli risale a 37 gradi. Ma i medici non sono ottimisti: «E' rimasto troppo a lungo sotto la neve». Purtroppo i timori si sono avverati.

TRENTO


lunedì 12 febbraio 2001,

Senza Arva, trovato dai cani
Trenta soccorritori mobilitati per scavare nella neve


TRENTO. Oltre trenta persone, tra vigili del fuoco, uomini del soccorso alpino e sanitari. Hanno lavorato oltre due ore per estrarre il corpo di Andrea Morelli dalla neve. Alla fine, però, tutti i soccorritori hanno voluto sottolineare un aspetto: «Se quei ragazzi avessero avuto l'Arva, i soccorsi avrebbero potuto essere molto più tempestivi e Andrea - probabilmente - non sarebbe morto».
Ma che cos'è l'Arva? L'Arva è un apparecchio che - grazie all'emissione di un particolare segnale radio - permette a chi è in superficie di individuare con esattezza la parte della valanga sotto la quale si trova il corpo della persona travolta. Basta posizionare i sensori dell'apparecchio sulla fase di ricezione del segnale: più ci si avvicina al luogo dove giace il "sepolto" più il segnale diventa forte. Di solito l'Arva viene azionata da un uomo che si trova direttamente sull'elicottero, in modo che gli spostamenti sul fronte della valanga siano i più rapidi possibile.
Nè Andrea Morelli, nè Alberto Bertocchi indossavano l'Arva. I soccorritori sono stati quindi costretti ad affidarsi alle unità cinofile. Quattro cani - dalmata e pastori - che hanno cominciato a scavare senza tregua. Le ricerche, tuttavia, sono durate più del previsto in quanto uno dei cani ha dirottato l'attenzione degli uomini del soccorso alpino in una zona sbagliata della valanga. Sotto quello strato di neve, infatti, non è stato trovato alcun corpo. Solo più tardi, uno degli altri cani (un pastore tedesco) ha individuato l'esatta zona e Andrea Morelli è stato tirato fuori. Il ragazzo era in evidente stato di ipotermia. Il medico rianimatore gli ha praticato il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca. Sono state fasi concitate e critiche. Morelli non è stato trovato già morto solo perché - nella caduta - è riuscito a crearsi una piccola bolla d'aria che gli ha permesso di respirare più a lungo di quanto non sia possibile fare quando si viene completamente sommersi dalla slavina.
Mentre attendeva all'ospedale, il compagno di gita di Andrea, Alberto Bertocchi, ha risposto ad alcune domande dei giornalisti. Era evidentemente sotto shock. Ma un concetto, Alberto, l'ha voluto rimarcare con forza: «Eravamo senza Arva? E' vero. Ma questi macchinari costano cari - oltre 400 mila lire. Si tratta di strumenti indispensabili per la sicurezza, quando si va in montagna. Perché - allora - costano così tanto? E' terribile che si speculi sulla sicurezza...».
Uno sfogo amaro, probabilmente giustificato dallo shock dell'esperienza terribile di aver visto un amico travolto dalla valanga e che alla fine ha perso la vita.
Resta il fatto che tutti gli esperti della montagna - specialmente le guide alpine - sottolineano l'importanza dell'Arva durante le gite di scialpinismo. «Sembravano esperti - hanno detto ieri i soccorritori - ma mancava loro lo strumento forse più importante: l'Arva, appunto.


TRENTO lunedì 12 febbraio 2001,

Le dure pendenze del Monte Rujoch


TRENTO. Il tracciato che stavano percorrendo i tre ragazzi, prima di essere travolti dalla slavina, è una classica dello scialpinismo. Le vie per giungere sul monte Rujoch - situato a quota 2.415 metri - sono molte. Si tratta di una parete piuttosto pendente, che a tratti supera i 30 gradi di inclinazione, il limite considerato sicuro per evitare il rischio che la neve scarichi a valle e investa gli sciatori. Al momento del distacco del fronte nevoso, i tre ragazzi stavano affrontando un avallamento della montagna, un crinale che immette su di un tratto considerato a rischio. La neve caduta abbondante in questi giorni non ha perdonato.

 

TRENTO


lunedì 12 febbraio 2001,




Dopo la lunga lotta contro la morte i medici dell'ospedale S.Chiara costretti a rinunciare: il suo cuore non ha retto
«Due ore sotto la neve lo hanno ucciso»
La disperazione del padre: «Era pieno di vita, amava l'avventura»

lu.pe.

TRENTO. Nella saletta del reparto di rianimazione del Santa Chiara, l'attesa è stata lunga, angosciante. Appena avuta la notizia dell'incidente occorso ad Andrea, tutta la famiglia si è precipitata da lui, in ospedale. Manca solo mamma Carla, alla quale nessuno ha avuto il coraggio di dire nulla. Il padre di Andrea, Giuseppe, scarica la tensione parlando a ruota libera del figlio: «E' sempre stato un ragazzo all'avventura, pieno di vita. Ama la cultura e i libri». Ma il destino ha spezzato la sua speranza.
Insieme al padre, hanno atteso notizie anche gli altri fratelli di Andrea. Una famiglia numerosa la sua: cinque maschi e una femmina. Lui è il secondo.
Poco prima delle 22 il medico esce dal reparto: «Mi dispiace, abbiamo fatto tutto il possibile, ma il suo cuore non ha retto. Non dava più segni di ripresa: abbiamo dovuto staccare le macchine».
La famiglia Morelli era arrivata in ospedale pochi minuto dopo l'atterraggio dell'elicottero che trasportava Andrea. Dalle 16 un'attesa lunghissima e devastante, scandita dal ricordo continuo che il padre Giuseppe fa delle avventure del figlio. «E' rimasto per due ore sotto la neve - racconta il padre, sfogando il suo dolore. I medici ci hanno dato poche speranze. Sappiamo che potrebbe anche non farcela».
Accanto a Giuseppe c'è la sorella di Andrea. Poco distante anche gli altri due fratelli. Papà Giuseppe non smette un secondo di parlare. Nelle sue parole c'è la disperazione. Una disperazione lucida, che lo spinge a ricordare ogni singolo episodio della vita del figlio: «Ha girato l'Africa in lungo e in largo. E' stato a Nairobi e al Cairo. Era appena tornato dal Martinica. Un giorno mi disse: "Papà, ho deciso di andare a Pechino, in bicicletta". Quella - prosegue Giuseppe Morelli - è stata forse l'avventura più difficile e appassionante che ha intrapreso: due anni sulla sella di una bicicletta: Trento-Venezia-Pechino». Un viaggio che gli è valso le copertine dei più importanti giornali italiani. In casa del padre campeggia ancora una cornice con il ritaglio della foto e del titolo del "Corriere della sera": «Da Trento a Pechino in bicicletta» - e la foto di Andrea insieme alla sua compagna di viaggio.
Andrea Morelli era impiegato presso la Corte dei Conti. Viveva in un piccolo appartamento di Mattarello. La sua fidanzata - Raissa, brasiliana di Baja - l'ha conosciuta a Trento, dove la ragazza ha frequentato l'università: «Ora come faremo ad avvisarla? Le ho parlato solo due giorni fa - continua il padre di Andrea. Ha una voglia matta di tornare in Italia, a Trento. Ma ci sono problemi di voli: fino a marzo non si trova un posto. Come faremo con lei ora...».
L'angoscia della famiglia di Andrea è condivisa da Alberto Bertocchi, il giovane universitario trentino che ha dato l'allarme alla centrale operativa dei vigili del fuoco. Andrea studia scienze naturali a Bologna e collabora con il Museo di Scienze Naturali di Trento. «La montagna è sempre stata la sua passione - raccontano i genitori. D'estate, d'inverno, non c'è modo di fermarlo».
Alberto ha gli occhi rossi e gonfi dal pianto: «No, preferisco non dire niente, scusatemi». Poi Alberto si lascia andare e racconta quei drammatici momenti: «Sì, lui era davanti. Stavamo attraversando un tratto pericoloso e abbiamo deciso di proseguire una alla volta, come si fa in questi casi. Andrea ci ha detto di fermarci, di non proseguire per quella via. Poi è precipitato e non l'abbiamo più visto. Abbiamo cercato di capire dove fosse chiamandolo al cellulare. Ma non rispondeva. Poi sono arrivati i soccorsi. Ora siamo qui. Speriamo che ce la faccia».


TRENTO lunedì 12 febbraio 2001,

Condizioni meteo. Neve fresca e troppo caldo
Il Bollettino valanghe
segnalava il rischio


TRENTO. Il bollettino valanghe, emesso dall'ufficio meteorologico della Provincia, per la giornata di ieri prevedeva condizioni della neve pericolose, tali da sconsigliare eventuali gite. Infatti, le nuove precipitazioni, che vanno dai 20 ai 60 centimetri negli ultimi due giorni, hanno aumentato il pericolo di scaricamenti spontanei di valanghe a debole coesione, anche di medie dimensioni soprattutto sopra i 2.000 metri. A seguito appunto delle precipitazioni il manto nevoso risulta debolmente consolidato, soprattutto negli strati superficiali.
Secondo gli esperti di nivologia che curano il bollettino, redatto in collaborazione con la Sat, l'indice di pericolo di valanghe era indicato forte nel settore occidentale, marcato in quello orientale e moderato sotto i 1800 metri e nel settore meridionale.
Inoltre il bollettino di sabato per la giornata di ieri prevedeva temperature minime in diminuzione di circa 3-4 gradi, mentre le massime in aumento di circa 4 gradi. L'aumento della temperatura costituisce un ulteriore motivo di pericolo, perché favorisce il distacco della neve fresca. Il bollettino nello sconsigliare fortemente escursioni scialpinistiche nella zona Adamello Brenta, raccomandava comunque una valutazione del pericolo in loco.

BOLZANO

lunedì 12 febbraio 2001

Slavina in Val Badia: fronte di 100 metri
Squadre di soccorso alla ricerca di sepolti
L'allarme è rientrato dopo quasi due ore
A far scattare l'SOS alcuni scialpinisti che hanno assistito al distacco della massa


BOLZANO. «Si è staccata una grossa valanga e ha travolto alcuni scialpinisti». La chiamata è arrivata, ieri verso le 13.35, alla centrale del 118. A dare l'allarme con il cellulare sono stati alcuni scialpinisti che si trovavano su Cima 10 e con il binocolo stavano seguendo altri appassionati di sci in neve fresca impegnati in una discesa nella zona dell'Alpe di Sennes, in Val Badia. Ai soccorritori hanno raccontato di aver visto gli scialpinisti scendere e un attimo dopo si è staccata una valanga. Poi si è levata una nuvola di pulviscolo bianco che ha coperto la zona.
Erano riusciti ad evitare la valanga oppure erano stati sepolti?
L'ipotesi più probabile, in un primo momento, sembrava la seconda anche perché i testimoni, dopo la caduta della massa nevosa, non avevano più visto nessuno.
Nel giro di pochi minuti la centrale del 118 ha organizzato i soccorsi, perché solo la rapidità d'intervento in questi casi può salvare chi è sotto una valanga.
C'era il grosso timore che fossero state travolte più persone, anche perché la zona di Fanes e Sennes è particolarmente amata dagli appassionati di scialpinismo. Ieri poi la giornata era splendida e la neve farinosa dopo la perturbazione di giovedì notte, anche se il bollettino dell'Ufficio idrografico della Provincia dava un pericolo di valanghe marcato grado 3 (i gradi sono 5, ndr) e le temperature elevate sconsigliavano le escursioni.
Sul posto dunque sono stati inviati più mezzi: da Bolzano si è levato in volo l'elicottero del Pelikan 1, da Pieve di Cadore è partito il velivolo del Suem. L'elicottero dell'Aiut Alpin Dolomites, impegnato nel soccorso di un ferito a Madonna di Campiglio, è stato subito dirottato all'Alpe di Sennes. Contemporaneamente sono state allertate le squadre del soccorso alpino di San Vigilio di Marebbe, La Valle, Antermoia e Corvara. La valanga con un fronte di oltre un centinaio di metri si è staccata da quota 2.700. Le prime ad arrivare sul posto sono state le unità cinofile. Tre cani addestrati nella ricerca di persone sotto le valanghe si sono immediatamente messi al lavoro, mentre gli altri uomini, circa una ventina, hanno cominciato ad ispezionare la massa nevosa con gli Arva, appositi apparecchi che consentono di individuare uno scialpinista travolto dalla neve. Alle 15.30 le ricerche sono state interrotte: i soccorritori hanno accertato che sotto la massa nevosa non c'era nessuno, anche se sulla coltre bianca sono state trovate diverse tracce del passaggio di scialpinisti. Il gruppetto, partito probabilmente dal rifugio Pederù e visto con il binocolo da Cima 10, era stato risparmiato dalla valanga.
«Il fatto che qualcuno abbia chiamato - commenta uno dei soccorritori - è un buon segno, perché dopo che gli scialpinisti vengono criminalizzati e arrestati per aver provocato una valanga, la gente anche se vede ha paura a dare l'allarme, perché teme di finire in galera. Tutto questo è assurdo, perché chi pratica lo scialpinismo sa che si tratta di uno sport pericoloso e se ne assume la responsabilità e il rischio».

BOLZANO

lunedì 12 febbraio 2001,

Tre denunciati in Val d'Ultimo
Fuoripista ad alto rischio, nei guai gli sciatori «graziati»

l.f.

MERANO. È «valanga colposa»: i tre sciatori germanici che hanno provocato sabato pomeriggio una slavina facendo fuoripista all'interno del comprensorio sciistico della Val d'Ultimo sono stati denunciati dai carabinieri. Viene così confermata la linea dura iniziata nel novembre scorso con l'arresto di Kuno Kaserer, il tassista di Parcines protagonista di un episodio analogo.
Sono stati denunciati a piede libero per violazione dell'articolo 426 del codice penale (che prevede il reato di «valanga colposa» punibile con la detenzione da uno a cinque anni), Peter Schmidt, Christoph Gross e Milos Kopetzki, i tre turisti tedeschi sessantenni che, sciando fuori pista, hanno provocato sabato pomeriggio sulle nevi della Schwemmalm una valanga che solo per miracolo non ha ucciso uno di loro.
La denuncia è stata inoltrata alla Procura di Bolzano dal comando dei carabinieri di Merano sulla base di una serie di considerazioni elaborate dopo un accurato esame dei fatti e un lungo sopralluogo effettuato in quota.
Prima considerazione: se è vero che la valanga, cadendo lontano da piste battute, non ha comportato rischi per altri sciatori, è altrettanto vero che si è comunque staccata all'interno di un frequentatissimo comprensorio turistico. Non si è trattato quindi di scialpinismo classico in zone remote e raggiungibili solo dopo ore di faticosa salita, ma di una discesa in neve fresca facilitata dal ricorso agli impianti di risalita.
Seconda considerazione: i tre non hanno tenuto conto né dei numerosi (e visibili) divieti apposti ovunque dagli addetti agli impianti né del bollettino valanghe che parlava di «pericolo marcato». Terza considerazione: uno di loro, Peter Schmidt, si è salvato per un soffio, riportando gravi fratture scomposte ad entrambe le gambe guaribili in un paio di mesi.
Insomma, solo per un caso fortuito non si sono registrate vittime.
Il provvedimento rinfocolerà di sicuro le polemiche scoppiate nell'ambiente alpinistico tra favorevoli e contrari al pugno di ferro. Una discussione vivace, iniziata il 19 novembre scorso con l'arresto in flagranza di Kuno Kaserer sul ghiacciaio della Val Senales da parte dei carabineri della stazione di Certosa. Un caso «pilota» (molto attesa la sentenza al processo in corso al tribunale di Silandro), che ha fatto scuola. Sulla base di quel precedente, in gennaio è stato infatti iscritto sul registro degli indagati dalla Procura di Bolzano Andy Fuller, 22 anni, americano per «omicidio e valanga colposi». Fuller aveva provocato una slavina, sempre in Val Senales, che uccise un amico snowboarder che lo accompagnava. La stessa accusa è stata contestata recentemente a due giovani olandesi per aver «tagliato» una gigantesca massa nevosa mentre facevano fuoripista a Pampeago. Per un terzo ragazzo che era con loro non vi fu niente da fare: morì soffocato.