martedì 13 febbraio 2001,
Molti gli incidenti. Nonostante il pericolo sia chiaramente indicato dai bollettini
Quattro le persone uccise dalla neve
ma.be.
TRENTO. Spesso erano esperti, ben attrezzati ad affrontare la montagna, le giornate scelte per l'escursione meteorologicamente invitanti. Ma le condizioni del manto nevoso, in questo inverno assolutamente «anomalo» nelle precipitazioni e nelle temperature, non ammettevano alcun tipo di errore nella valutazione. Non conosce precedenti, questo inverno, bisogna partire da questo dato. Condizioni particolari che richiedono di adottare una, due, dieci precauzioni in più, nella preparazione delle escursioni, ma soprattutto una volta sul terreno. Andrea Morelli, sul Rujoch è la quarta vittima in un solo mese.
30 DICEMBRE, PIZ GALIN
Enrico Malfatti 21 anni di Spormaggiore viene travolto da una slavina sul sentiero
che sale a malga Spora e che sta percorrendo con le ciaspole insieme all'amico
Elia Zanetti che si salva miracolosamente.
Il bollettino delle valanghe parlava di pericolo "moderato" Ma le previsioni non potevano tener conto di quei 10 centimetri di neve fresca caduti nella notte precedente. «Non dovevano partire, non dopo la nevicata di ieri sera» commentano i soccorritori.
30 DICEMBRE, CIMA SERODOLI: Andrea Nichelatti, studente di 27 anni di Povo muore travolto da una slavina lungo la parete sud di Cima Serodoli. Fatale fatala scelta di scendere da una parete diversa da quella di salita.
Andrea Nichelatti è stato tradito da un cumulo di neve ventata che ha ceduto sotto gli sci. La neve fresca, polverosa e inconsistente caduta la notte precedente si rivela una vera «mina vagante»: il nuovo manto non si era legato al precedente a causa delle temperature molto basse
31 GENNAIO, MONTE BONDONE: Uno scialpinista provoca una valanga sciando fuoripista sul versante sud del Palon, rimane ferito, ma si salva e fugge.
Su quel versante del Palon: c'era uno strato ghiacciato e sopra non meno di trenta centimetri di neve che non si era legata con quella più fonda. Infatti è bastato il passaggio di un solo sciatore per staccare la valanga.
2 FEBBRAIO, PAMPEAGO
Dennis Cuijpers, olandese di 20 anni, viene travolto da una valanga mentre sta
facendo fuoripista con due amico sulle nevi di Pampeago sotto il Dos Capel.
I due amici della vittima vengono arrestati e rilasciati il giorno dopo.
I tre sciatori deliberatamente decidono di superare le reti di protezione, ignorando i cartelli di divieto esposti e affrontando la discesa lungo un canalone stretto e ripido; il Bollettino meteo indicava pericolo "marcato" (grado 3).
TRENTO martedì 13 febbraio 2001,
BOLLETTINO
Slavine, rischio
ancora elevato
TRENTO. Resta elevato, in particolare nel settore occidentale del Trentino (livello
4), il pericolo di valanghe. Situazione migliore nei settori orientale (pericolo
3) e sotto i 1.800 metri di quota, e meridionali (pericolo 2).
Gli strati superficiali del manto nevoso si stanno assestando, ma non sono ancora
consolidati e mantengono un debole legame con la neve preesistente. Il rialzo
termico in corso accelera la fase di assestamento, ma mantiene ancora alto il
pericolo di valanghe spontanee, soprattutto oltre i duemila metri di quota e
sui settori nord-occidentali della provincia, dove le recenti precipitazioni
sono risultate più abbondanti. In quota la quantità di neve al
suolo è nettamente superiore alla media del periodo e sono presenti consistenti
accumuli eolici, pertanto il distacco di valanghe provocate risulta possibile
già con un debole sovraccarico. La possibilità di escursioni scialpinistiche
in quota, in particolare nella zona Adamello-Brenta, risultano ancora fortemente
limitate ed richiesta attenzione dell'itinerario.
TRENTO martedì 13 febbraio 2001,
Ipotermia, sfida estrema per il medico
I consigli: movimenti simili al nuoto per stare in superficie sulla neve
di Roberta Bassan
TRENTO. A 34 gradi di temperatura corporea cominciano ad appannarsi i riflessi.
A 33 gradi condizione di apatia. A 32 gradi l'incoscienza. A 30 gradi cominciano
le aritmie cardiache. A 27 gradi sopravviene il coma. L'ipotermia è una
sfida estrema per i medici, con mille variabili e mille condizioni. Ne sanno
qualcosa i rianimatori del Santa Chiara che, a turno, salgono sull'elicottero
per far fronte alle chiamate urgenti. Dal '98, da quando cioè è
stata allestita cardiochirurgia a Trento, sono stati una decina gli interventi
per ipotermia. Tra gli anestesisti del Santa Chiara anche Giovanni Pedrotti,
roveretano, che si è occupato di alcuni casi.
Dottor Pedrotti, cos'è l'ipotermia?
«La riduzione della temperatura corporea. Ci sono vari gradi di ipotermia.
Quella normale è di 37-37,5 gradi. Se, come nel caso di domenica, l'infortunato
rimane sotto la valanga ci sono due possibilità. La prima è l'ipotermia
protetta, la seconda è invece quella più complessa».
Parliamo dell'ipotermia protetta.
«Sotto la neve uno ha delle riserve di ossigeno tali che gli consentono
di fare in modo che il suo sangue continui a circolare e il cuore batta. Le
sue cellule non vanno incontro a morte, ma si riduce progressivamente il metabolismo
della cellula che ha bisogno di meno ossigeno e meno circolazione sanguigna
e, fino ad un certo tempo, c'è una certa protezione. In genere nella
prima ora, massimo nelle prime due, se c'è un'ipotermia severa sotto
i 20-25 gradi, c'è una sopravvivenza intorno all'ora. Ma a due condizioni:
che il cuore batta e ci sia la possibilità di respirare».
Come fate a capire se si sono verificate queste condizioni?
«Non lo sappiamo e ci mettiamo nell'ipotesi migliore: che l'infortunato
non abbia avuto traumi cadendo sulla neve e che si sia formato una camera con
un po' d'aria. Cominciamo con la rianimazione cardiopolmonare e portiamo il
malato in ospedale dove cerchiamo di riportare lentamente il corpo alla temperatura
normale».
In che modo?
«Tramite circolazione extracorporea: si fa passare il sangue attraverso
una macchina che lo ossigena, lo riscalda e poi lo rimette nell'organismo. Una
tecnica studiata per i grossi interventi di cardiochirurgia. Poi bisogna capire
quanto gravi sono stati i danni che la persona ha avuto e se il tempo per cui
è stato in ipotermia è stato sufficiente a preservare le cellule».
Cosa si può fare per sopravvivere all'ipotermia, sotto una valanga?
«Da soli ben poco. Il presidio fondamentale è l'Arva: se l'infortunato
è sotto una valanga, l'apparecchio permette di individuarlo. Se ha la
fortuna di essere coperto da poca neve, è meglio che cominci a prendere
la pala e scavare. La cosa migliore sarebbe di formarsi una camera d'aria, cercando
di avere magari movimenti simili al nuoto per stare in superficie e non sprofondare
troppo. Tenere per quanto possibile mani e braccia avvolte a cerchio in modo
da evitare che la nevi entri subito in contatto con il corpo e soprattutto con
le vie aeree. Ma non è facile: man mano che la temperatura si abbassa,
chi è travolto tende ad assopirsi e muore per soffocamento. Senza respirare
non ci si può salvare».
TRENTO
martedì 13 febbraio 2001, S. Maura
Squadra anti-valanghe: diciotto cani superspecializzati
Due anni di delicato addestramento, nuove razze più resistenti e tanta
passione
TRENTO. Ci vogliono due anni per formare un cane da valanga. Due anni nel corso
dei quali il volontario del soccorso alpino affidatario e il quattrozampe diventano
un tutt'uno.
In Trentino sono 18 i cani da valanga del Gruppo tecnico cinofilo, un ramo del
corpo del soccorso alpino. Sino a qualche anno fa - ha spiegato Sergio Torresani,
istruttore nazionale di cani da valanga - erano utilizzati soprattutto pastori
tedeschi.
Poi sono state introdotte altre razze: labrador e setter irlandese ad esempio.
Una svolta dettata da varie ragioni: tra queste la maggiore resistenza di certe
razze al calore estivo (molti cani sono abilitati anche alle ricerche in superficie)
e la maggiore longevità (un pastore tedesco è operativo sino ai
10 anni, un labrador arriva a 14 senza particolari problemi).
Il cucciolo viene affidato ad un volontario del soccorso alpino (e con questo
resterà per sempre) a sessanta giorni di vita.
Dopo due anni di esercitazioni - e due "esami" sul campo - viene rilasciato
il brevetto.
I cani da valanga vengono abituati - prima con l'aiuto del conducente, poi con
un "figurante" (una persona sconosciuta) - a cercare le persone sommerse
dalla neve.
Nel corso delle esercitazioni il tempo medio di rinvenimento è di due
persone in quindici minuti. I cani riescono a capire dove si trova il sepolto
grazie al particolare odore che questo emana: problemi nella ricerca possono
essere creati da correnti d'aria e neve troppo bagnata.
L'attività del gruppo cinofilo del soccorso alpino inizia solitamente
a dicembre e si conclude a fine marzo. Nel corso di questi mesi un volontario
con il proprio cane staziona stabilmente presso il nucleo elicotteri di Mattarello,
pronto a partire in caso di bisogno.
In assenza dell'Arva, i cani sono l'unica alternativa sufficientemente rapida
per rinvenire persone sepolte dalla neve.