LA SLAVINA È CADUTA IN VALLE ARGENTERA, PRESSO SESTRIERE

Piemonte: quattro alpinisti morti e uno ferito grave travolti da una valanga La sciagura è avvenuta ieri pomeriggio, ma l'allarme è stato dato solo nella notte quando i famigliari non li hanno visti rientrare. Soccorsi sospesi nella notte a causa della bufera che imperversa nella zona e ripresi in mattinata Susa (Torino)- Quattro alpinisti torinesi sono morti e uno è rimasto ferito gravemente a causa di una valanga che li ha investiti ieri in valle Argentera, in località Brusa, nei pressi di Sestriere (Torino). Secondo quanto si è appreso dai carabinieri di Susa, l'incidente è avvenuto ieri pomeriggio, ma solo nella notte è stato dato l'allarme dai famigliari che non li hanno visti rientrare. Le squadre dei carabinieri e del soccorso alpino hanno raggiunto la zona di notte alle 3 e trovato semisepolto, ma ancora in vita, Alberto Egardi, 27 anni, ora ricoverato all'ospedale di Susa con lesioni a una gamba che per ore è rimasta bloccata da un masso. Poi sono stati recuperati i corpi senza vita dei fratelli Sandro e Andrea Bansolin, 20 e 24 anni, di Manuel Daviero, 26 anni, e di Andrea Buffa, 26 anni, tutti della provincia di Torino. I cinque giovani erano partiti ieri mattina da casa e avevano parcheggiato le loro auto a Pragelato (in alta val Chisone, poco sotto Sestriere), dove i carabinieri le hanno ritrovate ieri sera. Volevano scalare una cascata ghiacciata, ma sono stati travolti prima di iniziare l'impresa. Tre dei corpi avevano ancora i guanti in tasca. A provocare la valanga è stato probabilmente il forte sbalzo di temperatura causato dal vento caldo che soffiava in zona (c'erano più di 10 gradi). I soccorsi sono stati sospesi alle 4,30 per una tempesta di neve e vento che imperversava nella zona e sono ripresi stamani alle 8.

Corriere della Sera

Lunedì, 27 Dicembre 1999

Slavina killer al Sestrière uccisi quattro alpinisti

Volevano scalare una cascata di ghiaccio

dal nostro inviato ARTURO BUZZOLAN

SESTRIERE - "Erano le due di notte quando abbiamo scoperto la Ford Fiesta di Andrea, Sandro e Manuel abbandonata proprio all'altezza della cascata di ghiaccio del Rio Gentira. E c'era un'altra macchina, una Punto rossa, segno che qualcun altro era con loro. Ci siamo incamminati in mezzo alla tormenta, al buio, verso il canalone. E all'improvviso, da laggiù, abbiamo sentito l'urlo di un ragazzo...". Chi parla è Andrea Sorbino, guida alpina di Perosa Argentina. E' lui che racconta la tragedia dei quattro amici scalatori travolti da una slavina. "La mamma di Andrea e di Sandro si è messa a gridare anche lei: chiamava i suoi figli. Eravamo contenti, speravamo fossero tutti salvi. E invece era successa una cosa orribile...". Proprio a lui, Andrea Sorbino, all'ora di cena, si erano rivolti disperati i genitori di Sandro e Andrea Pansolin, 20 e 24 anni, anch' essi di Perosa, dopo che i due ragazzi, partiti domenica mattina per un'escursione di ice climbing, l'arrampicata con ramponi e picozze, non avevano più dato notizie di sè. A quella breve scalata al Rio Gentira, una cascata di ghiaccio su un fianco del Roc del Boucher, una rocciosa e scoscesa montagna della valle Argentera tra Sestriere e il confine con la Francia, Sandro non avrebbe nemmeno partecipato: voleva solo guardare suo fratello Andrea arrampicarsi insieme all'amico Manuel Daviero, 26 anni, pure lui di Perosa e a due compagni incontrati lì per caso, Andrea Buffa, ventiseienne, di Bibiana e Alberto Egardi, 27 anni, di San Bernardino di Trana. Ma quella scalata non è nemmeno iniziata. Sul gruppetto che stava preparando corde e imbragature si è abbattuta all'improvviso una valanga staccatasi mille metri più in su da una cresta dove il vento di questi giorni aveva accumulato tonnellate di neve. Erano le dieci e mezza di domenica mattina. Solo Egardi, che è riuscito a tenere il viso e una mano fuori dalla slavina, è riuscito a sopravvivere. Lo hanno salvato dopo 17 ore nel gelo, se l'è cavata con contusioni a un braccio e a una gamba imprigionata da un masso. Ma gli altri quattro, sepolti da quell'ondata di neve fradicia e di pietre subito trasformatasi in una morsa ghiacciata, sono morti. I soccorritori li hanno estratti uno dopo l'altro, nella notte, in mezzo alla bufera. L'ultimo corpo, quello di Andrea Buffa, volontario del Soccorso alpino, è stato trovato ieri a mezzogiorno e mezza. Alpinisti giovani ma esperti, dicono tutti, anche se le condizioni meteorologiche del giorno di Santo Stefano non erano davvero le migliori: la pioggia caduta a Natale aveva inzuppato la neve, la temperatura era improvvisamente salita con punte di quindici gradi a 1600 metri di quota e il vento era forte. Sia Andrea e Sandro Pandolin sia Manuel Daviero, erano soci del Cai: Andrea, che era anche volontario della Croce verde, stava per diventare radiologo mentre Sandro studiava Agraria. Vivevano con il padre pensionato e la madre infermiera. Manuel, tecnico delle officine Data di Pinasca, un paese vicino, era figlio unico. La quarta vittima, Andrea Buffa, gestiva un rifugio in Val Pellice ed era tecnico faunistico. I fratelli Pandolin e Daviero conoscevano di vista Buffa ed Egardi: così domenica mattina, quando li hanno incontrati alla base della cascata di ghiaccio, hanno deciso di salire con loro. Avevano ancora i guanti infilati nelle tasche quando la slavina, larga cinquanta metri e lunga duecento, li ha travolti. Alberto Egardi, l'unico superstite, non si era nemmeno infilato l'imbragatura e i ramponi: forse è anche questo che l'ha salvato. L'allarme è scattato alle otto di sera: a lanciarlo sono stati i genitori dei fratelli Pansolin che si sono poi uniti ai soccorritori. Il primo corpo recuperato nella notte è stato quello di Sandro, poi quello del fratello. Andrea Buffa, estratto solo ieri mattina, era finito duecento metri più in giù. I funerali si svolgeranno domani o giovedì: "Li seppelliremo con le loro giacche a vento e le picozze - dicono i compagni del Cai- loro avrebbero voluto così".

La Repubblica

"Un incubo lungo 17 ore sepolto sotto la neve"

Ricorda e piange Alberto: "Non ho più visto i miei amici"

dal nostro inviato ALBERTO CUSTODERO

SESTRIERE - "Non ho avuto il tempo di accorgermi di nulla. In un attimo mi sono trovato sepolto sotto una montagna di neve: con fatica sono riuscito a liberare la testa e il gomito sinistro. Ho subito cercato con lo sguardo i miei amici, ma non li ho visti e ho intuito il peggio...". Parla, piange e si dispera Alberto Egardi, dal letto del reparto di chirurgia dell'ospedale di Susa. Al chirurgo Leonilde Bompard che l'ha visitato, il giovane ha raccontato parte della sua drammatica avventura. "Sono stato 17 ore imprigionato sotto la neve - ha detto - ho un forte dolore al gomito sinistro, l'ho usato per scavare nella neve, e poi come leva per tentare di uscire da quella morsa che mi stava schiacciando, soffocando, congelando. Ma mi dica, dottoressa, come stanno i miei amici...?". Quando i soccorritori lo hanno liberato da quel muro di neve precipitatogli sulla testa dalla cascata di "Brusa del Plan", il suo primo pensiero è stato per i suoi compagni che ha invano tentato, per quelle lunghissime quindici ore, di scoprire con lo sguardo. I medici non hanno avuto il coraggio di dirgli la verità. Sono stati poi i parenti a rivelargli che lui era l'unico sopravvissuto. Ecco ancora la sua drammatica testimonianza: "Quando ho messo la testa fuori, con fatica, scrollando la neve che mi aveva coperto, mi sono guardato intorno, ma non ho visto più nessuno, un manto bianco aveva coperto tutto e tutti, c'era un grande silenzio. Ma non ho mai smesso di sperare che gli altri si fossero salvati". "La valanga - ha aggiunto - ci ha travolto alle 10,30. I soccorsi sono arrivati nella notte, credevo di non farcela. Probabilmente mi sono salvato perchè non avevo ancora indossato le attrezzature per la scalata, il caschetto, i chiodi, la corda, i moschettoni. Ero più leggero degli altri che erano invece già pronti per salire. Alberto Buffa era vicino a me, anche lui non si era ancora preparato, ma gli è andata peggio, è sprofondato. Così ha deciso il destino". Le condizioni di Egardi non sono gravi. Trauma da schiacciamento è la diagnosi, ha qualche lesione alle gambe rimaste imprigionate da un masso, e un forte dolore al gomito. Fra qualche giorno potrà tornarsene a casa. Iscritto alla minilaurea di veterinaria, da anni appassionato di montagna ("fanatico", lo ha definito il suo migliore amico, Andrea Serminato), non è stato abbandonato un istante, ieri, dai genitori, il papà Angelo, geometra e la mamma, insegnante, entrambi in pensione, e da decine di amici. Fra questi, Emanuela Mana non trattiene le lacrime e tenta di difendere gli amici da chi li ha accusati in qualche modo di aver commesso un'imprudenza, avventurandosi in montagna con un forte vento e alta temperatura. "Ho visto Alberto in ospedale - ha detto l'amica - l'ho abbracciato e baciato, stava bene. Erano tutti prudenti ed esperti, uno di loro, Alberto Buffa, era del soccorso alpino. S'è staccata una slavina, può capitare a tutti...".

La Repubblica - 28 dicembre 1999